A Manhattan da ragazzi

e con gli occhi lucidi

Delizioso, vibrante e innamorato l’ultimo film di Woody Allen. Capace di uno sguardo straordinariamente attuale sulla passione dei vent’anni, il nostro amato Woody percorre, nel suo ultimo film, una corsa nostalgica che rammenta la passione del finale del suo Manhattan (1978) immergendola in una pacatezza, un adagio sulle cose della vita che sembra essere uno dei tratti (uno e non esclusivo) dei ragazzi di oggi. Non imperativi, e cultural dipendenti come i loro genitori, capaci di andare a vedere cosa succede, avvinti a sentimenti profondi. Non interessati al sesso per il sesso, ma al buon sesso per amore. Romantici, in periferia come in città, non determinati da un progetto di vita ma da una vita che si rende progetto compiuto nella costruzione dei legami. Con un amore sano e non vezzoso per l’arte, un’arte d’uso, che diventa cornice e colonna sonora dei tratti. Malinconico e ferocemente giovane qui, Woody Allen, con figure femminili e maschili a dire del mondo che si può desiderare dal punto di vista di Gasby e Chan e di Ashleigh (la madre, la giovane escort, la fidanzata di Francisco Vega, Ted Davidoff e Roland Pollard). Un call me by your name (qui, e nel film di Guadagnino nella parte di Elio, è sempre il bravissimo Timothée Chalamet) attuale e americano, newyorkese, con tutta la forza del sentimento preadulto e l’appartenenza a un sostrato culturale che la forza dell’istinto alla vita sopravanza. Un film con gli occhi lucidi, come sempre quelli di Allen, un film innamorato, sensuale e ricolmo di bellezza. Non fatevelo sfuggire…

(N.G.)

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