Una lettera da Nottingham

Riceviamo e volentieri pubblichiamo, nella sezione ottoElettori, le lettere dei simpatizzanti ed elettori di Italia Viva, o di chi vuole essere in dialogo, anche critico, con noi.

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Andrea Sciré – Una lettera da Nottingham

Tra gli Italiani all’estero è di moda additare tra le cause della loro fuga le poche opportunità che il nostro Paese offre. Io non sono tra questi perché, dopo aver completato il percorso di studi universitari a Roma, il lavoro in Italia non l’ho mai cercato.

Ho iniziato a frequentare l’Università nel settembre del 2012 e l’ultimo semestre di studi, tra gennaio e giugno 2015, l’ho passato da studente Erasmus in una piccola cittadina polacca a circa un’ora di macchina da Cracovia. 

Nonostante la mia reticenza ad accettare dovuta a tantissimi pregiudizi, di cui ora mi vergogno, è stata un’esperienza umanamente fantastica nella quale, forse per la prima volta, sono uscito dal mio nido e ho capito che al di fuori dall’Italia c’è un qualcosa di grande e affascinante: l’Europa.

Questa voglia di Europa mi ha spinto a volere completare il mio percorso di studi universitari con una Laurea Magistrale nel Regno Unito. Sono stato accettato per frequentare la specializzazione in Logistica presso l’Università di Leeds con inizio settembre 2015. È stato un anno intenso che ha raggiunto il suo apice quando, dopo innumerevoli curricula inviati, e un lungo processo di selezione, ho ricevuto un’offerta di lavoro per iniziare a settembre 2016 presso la più famosa azienda manufatturiera di biscotti del Regno Unito, l’equivalente, a livello di importanza del marchio, della Mulino Bianco in Italia. 

Per quanto riguarda l’Università, l’approccio allo studio è molto differente da quello italiano. Raramente a Leeds ho studiato per un esame sui libri, le fonti erano articoli accademici o pubblicati su riviste scientifiche. Il contenuto della lezione teorica veniva poi approfondito e reso tangibile nei seminari, dove attraverso l’uso di casi studio, la teoria diventava pratica. 

Probabilmente a livello teorico ne so meno di molti miei colleghi che si sono specializzati in Italia, ma questo approccio pratico alla formazione mi ha aiutato enormemente nel mondo del lavoro. 

Per consolidare la mia formazione teorica, esistono vari ordini professionali che offrono corsi di approfondimento per lavoratori: dopo 6 mesi di studio, e con una borsa di studio dell’azienda, ho superato l’esame per essere ammesso all’albo dei professionisti del mio settore.

La mia esperienza lavorativa in Inghilterra è da considerarsi estremamente positiva. In tre anni, per lavoro, ho cambiato tre volte città (Londra, Manchester e Nottingham) e tre volte ruolo (Ufficio Acquisti, Produzione ed Export), cosa di cui sono molto felice, avendo incontrato tantissime persone e creato tanti ricordi. La cosa che mi ha stupito di più è stata la “leggerezza” con cui venivo assegnato di compiti per i quali non ero preparato. Verso la fine del mio primo anno nell’Ufficio acquisti, fui mandato da solo da un fornitore per rinegoziare una fornitura di varie centinaia di migliaia di sterline di materie prime. Ero totalmente inadeguato per il compito, ma al mio capo non importava molto, perché sapeva che qualsiasi cosa avessi fatto di sbagliato, sarebbe intervenuto successivamente per rettificare gli errori.

Non posso fare a meno di paragonare la mia esperienza con quella dei miei colleghi rimasti a Milano che si dimenavano tra tirocini non pagati o contratti di qualche mese mal retribuiti. Nonostante sia facile dare la colpa alla “burocrazia”, io credo che la responsabilità sia della mentalità da dinosauri dell’Italiano, dove si è considerati giovani a 40 anni e dove se finisci prima delle 6 di sera, non ti stai impegnando abbastanza. Dove conta più la forma che la sostanza. Il che è molto preoccupante perché mentre la burocrazia si può alleggerire, la mentalità è più difficile da sradicare.

Avendo cambiato tre volte città, ho sperimentato tre tipi diversi di Inghilterra. In questo contesto, sono riuscito a capire, ma non a condividere, il motivo per cui a giugno del 2016 (a cavallo quindi tra la fine dell’Università e l’inizio del lavoro) il 51% dei Britannici votò per uscire dall’Unione Europea. A Londra si respira un’aria internazionale, cosmopolita, dove non importa di dove sei e cosa fai, avrai comunque la tua opportunità. A Manchester, la terza città più grande di Inghilterra, si assapora la stessa atmosfera ma in forma molto più ridotta. A Nottingham, questa atmosfera non c’è. Il Regno Unito ha pagato ciò che per anni è stata la sua fortuna, essere Londra-centrico. Non vedo un futuro roseo per il Regno Unito. Prima di tutto perché potrebbe non essere più “Unito”, visto le spinte indipendentiste della Scozia. In secondo luogo, perché la maggior parte dei Britannici continua a pensare di essere nel cuore dell’Impero che ha dominato il mondo per qualche secolo. Con l’uscita dall’Unione Europea, credo che il Regno Unito perderà il suo peso sia in campo economico sia in campo politico.

Andrea Sciré

Giugno 2020

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