Parlando di città post covid19

Un dibattito acceso e virtuoso

Dato il forte impatto del tema sulla vita politica e amministrativa della nostra nazione, alcuni di noi sento il bisogno di tornare sul tema continuando a riflettere. Pubblichiamo oggi un secondo intervento sul tema, in attesa di ulteriori contributi, anche critici, alla riflessione comune.

Il dibattito sullo smart working (come quello sull’eLearning e sui servizi digitali) sembra essere acceso, soprattutto sui social e sui giornali orientati al lavoro, ma purtroppo, allo stato attuale, non sufficientemente produttivo.

Nelle logiche di schieramento (da cui escono spesso malissimo sindaci e ministri) quello che si palesa in fase2, con pochissime eccezioni, è il voler riportare indietro le pagine del calendario; da un lato sprecando una occasione potentissima di accelerazione dell’innovazione e delle politiche per l’accesso, dall’altro contraddicendo la logica di integrazione e revisione, di ridisegno, che sola può salvarci nell’AnnoCovid2020-19. La politica sembra essere, oggi, molto più rigida e lenta di tante imprese e lavoratrici e lavoratori, e cittadin@.

I servizi al cittadino, il commercio, la scuola, la sanità e le forme del lavoro hanno subito una improvvisa inclinazione alla flessibilità, inimmaginabile prima del Covid19. 

Le donne, i bambini, gli uomini, e il mondo produttivo e dell’informazione, della sanità e dalla formazione sono stati catapultati in una condizione che senza quella meravigliosa flessibilità introdotta dalla speranza di sopravvivenza avrebbe potuto annientarci socialmente, immobilizzando i paesi.

Nessuna delle soluzioni adottate protempore è interamente esportabile nella fase di ritorno alla socialità e al commercio, ma moltissimi saperi si sono impadroniti della nostra inerzia di fronte all’idea del cambiamento.

Poiché il discorso sarebbe lungo e complesso, vorremmo offrire uno sguardo di sintesi (forzosamente estremizzata) che possa tener desta la nostra attenzione di cittadini e cittadine nei mesi cruciali delle scelte politiche e delle soluzioni di convivenza col virus e con la crisi economica preesistente, e dal virus drammaticamente acutizzata.

Le forme del lavoro sono tante – a distanza – da casa – all’esterno e in azienda o in strutture.

In esse le persone possono meglio conciliare la cura del lavoro e la cura di sé e della famiglia. E le dinamiche di addensamento sul femminile delle pratiche di cura potrebbe giovarsi, in un nuovo contesto, di servizi a distanza capaci di diminuire il peso delle incombenze domestiche e di segretariato familiare spesso imputate ai compiti femminili di gestione della vita a casa.

Sul versante lavoro le organizzazioni dovranno costruire una cultura della condivisione di obiettivi nella quale chi lavora ha maggiore autonomia. Stabilire un patto accanto al contratto, senza perdere di vista la funzione di tutela del lavoro.  Questo potrà essere organizzato con risparmi molto grandi nei tempi di spostamento, con indubbio vantaggio sociale, e consentire alle imprese di ridurre drasticamente il peso economico della logistica. 

La comunicazione con colleghi e capi dovrà essere, e potrà essere, più strutturata e meno invasiva (programmazione e rispetto della gestione del tempo sia di chi lavora, sia dei progetti e obiettivi da gestire). Le imprese avranno meno gossip e più comunicazione. Occorrerà adottare queste forme di lavoro conoscendo le tematiche di gestione del tempo, di ottimizzazione della comunicazione, di ergonomia nel proprio ecosistema.

Ci saranno vantaggi per i servizi locali e gli esercizi di prossimità, che potranno reinterpretare la loro missione (salette e spazi di lavoro in co-working, caffè e librerie come luogo di incontro, e così via). Si dovrà investire in formazione sui temi del lavoro a distanza e si dovranno creare forme nuove di socializzazione e incontro.

Bisognerà valorizzare il cambio di paradigma che fa superare la logica del controllo sull’informazione come leva di potere nel lavoro, e aiuta le persone e gruppi a introdurre e far crescere una cultura della condivisione dell’informazione stessa.

Sul versante dei beni e servizi, i piccoli esercizi commerciali si sono dotati velocemente di modalità di consegna a domicilio. Gli esercizi di prossimità hanno ricominciato a garantire la vivibilità dei quartieri e il pagamento elettronico è stato incentivato. I servizi di eCommerce si sono proposti come vettori di un decongestionamento dei tempi familiari e dei tempi delle città.

Occorrerà formare i commercianti a un ridisegno delle loro missioni e della comunicazione coi clienti, per una maggiore centralità nella vita delle persone.

Inoltre, la dimensione del quartiere ha assunto di nuovo un ruolo importante, con aumento delle forme di solidarietà e mutuo soccorso. La sicurezza stradale è aumentata. La presenza delle persone nelle case le ha rese più sicure. Gli anziani conviventi con i familiari hanno goduto di momenti di socialità insperata

Se da un lato la chiusura degli asili e dei “nido” ha determinato un collasso nella gestione del tempo familiare e del lavoro, ha anche costituito un momento prolungato di convivenza e ruolo educativo ri-appreso. Il dialogo fra operatori e genitori si è intensificato, i genitori hanno imparato dagli operatori giochi e forme di cura tipici delle situazioni extra familiari.

Possono essere incrementate le realtà di custodia e formazione dei piccolissimi in dimensione pubblica e locale con una nuova attenzione alle risorse umane e logistiche necessarie in presenza di particolari emergenze sanitarie e a prescindere da esse.

Medici e farmacisti hanno ottimizzato i servizi con l’aiuto dei servizi telematici, liberando tempo per i casi realmente critici. 

Sono stato introdotti sportelli di sostegno psicologico sia per la cittadinanza che per gli operatori in prima linea, con una attenzione sociale molto forte ai temi della psicologia dell’emergenza e di sostengo al burnout esportabili virtuosamente ai vissuti oltre l’emergenza pandemica.

I servizi di PAL e PAC son divenuti più efficienti e trasparenti.Occorre presidiare il mantenimento di queste forme di servizio e dialogo sociale, fonte di minor isolamento e accesso semplificato.

Il  digital divide e un parziale analfabetismo o impossibilità d’uso delle risorse digitali di parte della popolazione deve essere oggetto di politiche continue e attive.

Nella scuola e nelle università non esistono metodi didattici che per definizione ne escludano altri. 

L’uso della formazione a distanza, spessissimo adottata con successo nelle classi di secondo ciclo e nelle università, è una risorsa che non va sprecata, per il valore intrinseco di creazione di ambienti di apprendimento aperti, e per la funzione di accesso che consente ai soggetti in isolamento (lungodegenti, con difficoltà motorie).  La comunità educante può e deve diventar parte dei percorsi di formazione dei ragazzi e delle ragazze. E della formazione continua degli adulti.

E a proposito di città, negli interventi del sindaco di Milano Sala, usciti in questi giorni, c’era un’evidente esigenza di rivestire l’incauto “torniamo a lavorare” delle prime dichiarazioni di un contenuto accettabile e condiviso. Operazione che è riuscita in parte, e in parte no. Riuscita  quando si ribadisce il giusto concetto che lo smart working non debba essere uno strumento di maggior sfruttamento del lavoratore. E ci mancherebbe. Non convincente, a nostro avviso, quando pur percependone la potenza rivoluzionaria nell’uso e nel concetto di città, specie nei casi delle metropoli, ne individua solo lati oscuri e negativi: in sintesi la perdita del flusso dei pendolari e i risvolti economici che questa perdita ha su determinati settori dell’economia. 

La politica non comprende, a nostro avviso, che una volta passato il fiume, anche disordinatamente e di corsa come è stato per la pandemia, non è possibile tornare sulla riva da cui si è partiti e progettare un passaggio ordinato e controllato. Ormai siamo dall’altra parte. Tornare indietro significherebbe solo restaurare una condizione pre-lockdown senza cogliere un’opportunità che, lo stesso sindaco Sala ammette, è comunque imponente. 

Dai sindaci e dalle imprese ci si aspetta un governo anche e soprattutto a posteriori, sulla nuova riva del fiume. Milano, così come Roma, Torino, Bologna non possono più vivere del pendolarismo legato al lavoro. Diventino invece quello che già sono: città capaci di attrarre per la cultura, gli enormi mezzi a disposizione della socialità, la vita al di fuori dall’ufficio. Si mettano, in sintesi, su un mercato che pure non dovrebbe essere straniero, senza questa nostalgia old economy che desta solo tristezza e senso di sconfitta.

Nessuno pensa a una società di reclusi a casa. Pensiamo a una società in cui il tempo dedicato al lavoro in azienda (non parliamo ovviamente di lavori non remotizzabili) possa essere al “netto” da oneri imposti dalla e alla città. 

Parliamo di una città che vive di una vita reale e non imposta da una ormai artificiosa concentrazione di attività, di fatto superata dai tempi. 

Parliamo di una città in cui possa piacerci andare per quello che offre culturalmente e socialmente, non dove si va per forza, senza neanche godersela, perché a inizio e fine della giornata lavorativa occorre aggiungere qualche ora assolutamente infruttuosa di spostamenti. 

Occorre ovviamente equilibrio e ragionamento. Occorre ripensare schemi economici probabilmente in via di obsolescenza (ricordate Blockbuster?), occorre pensare in avanti e non all’indietro cercando di massimizzare tutto il buono che è venuto, indirettamente, da questa esperienza così invasiva. 

La politica rischia di avere, purtroppo, uno sguardo rivolto soprattutto all’indietro, alla difesa di interessi ben precisi a discapito di altri. Per questo, crediamo ci sia molto da salvare e da fare. 

(Nerina Garofalo e Riccardo Vinci)

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