DAL POST PANDEMIA A “METROPOLIS”… UN INCUBO

Sul tema dello smart working
anche su #lottangoloblog il dialogo è fitto e animato

I miei simpatici, stimolanti amici, hanno dato un bellissimo contributo all’analisi della situazione che emerge dal post pandemia, in particolare alla fase di riassestamento della società e dell’economia del paese dopo il duro momento emergenziale e il lungo lockdown  che ci ha costretti in casa per mesi fermando in pratica ogni processo produttivo dell’azienda Italia. 

Sicuramente l’analisi della realtà e la proposta politica di ripartenza che sono oggetto del tema trattato da Nerina e Riccardo nei loro bellissimi articoli, meritano molta attenzione e riflessione perché parlano di noi, del nostro progetto di futuro e di come vorremmo che la nostra società e i nostri stili di convivenza emergessero migliorati dopo l’esperienza tragica della pandemia, perché dalla tragedia a volte se ne può trarre insegnamento, essa ci svela le capacità di sopravvivenza di uomini e donne e la loro magnifica capacità di adattamento, proprio nel senso darwiniano  “…. La selezione naturale agisce sui fenotipi, favorendo quelli più adatti e conferendo loro un vantaggio sia di sopravvivenza sia riproduttivo …”.

Adattamento quindi nel senso più positivo del termine, ovvero: cambiamento in meglio, nuova genia, nuovo forza vitale, nuove doti, nuovi modi di abitare il nostro pianeta.

Se ho compreso fino in fondo il ragionamento che è alla base delle predette analisi, allora si; amici vi seguo nei vostri ragionamenti e condivido il vostro pensiero perché se c’è qualche cosa che ci distingue dalle scimmie non è quel 2% di cromosomi, ma la nostra capacità di cambiamento, di evolvere come individui e come società.

Ho fatto questa premessa perché vorrei offrire un’altra lettura sullo stesso tema, esprimendo il mio pensiero e rimarcando la ricchezza di questo blog che si alimenta dall’apporto di opinioni viste da angolature diverse, ma che sono comunque accomunate da un’idea politica che si può sintetizzare nella magica parola “Riformismo”.

Oggi, nel momento in cui siamo usciti dal lockdown, abbiamo di fronte  la possibilità di fare delle scelte, nei dettaglio tantissime, ma nella sostanza sono solo tre:

  1. Cercare in tutti i modi di ripristinare le condizioni coante, ovvero ripristinare con determinazione il mondo che abbiamo vissuto fino al giorno che è iniziata la pandemia,
  2. Prendere al volo l’occasione per avviarci verso una società della regressione felice, ridimensionando l’apparato produttivo per puntare ad un mondo più semplice, più pulito, meno competitivo.
  3. Segliere la terza via, quella che, con gradualità, lenta e faticosa presa di coscienza ed adattamento strutturale, ci porterà ad una evoluzione del sistema, che oggi, dopo aver sperimentato nuovi ed efficaci sistemi di comunicazione e relazione sembra possibile.

Vediamo nel particolare la prima scelta e diciamoci con franchezza che il mondo che abbiamo lasciato alle nostre spalle solo tre mesi fa non era proprio male, male; insomma non vivevamo all’interno del mondo di Metropolis (intendo il film di Friz Lang); altrimenti non si spiegherebbe perché la maggior parte delle persone non veda l’ora di tornare agli usi e alle faccende consuete. La comunicazione digitale, per quanto abbia dato una mano a superare difficoltà oggettive, non è stata comunque in grado di far girare il sistema paese in percentuale adeguata e la chiusura della aziende ha determinato un picco negativo della produzione a due cifre, nonostante il lavoro a distanza o lo Smart Working.

In verità le maggior parte delle forze politiche sono concordi nell’operare affinché si torni al lavoro il più presto possibile, affinché nelle aziende si torni a stare fisicamente, se non come prima, quanto meno in percentuale di presenze sufficientemente adeguata, che tornino a muoversi persone in strada e che queste frequentino Bar, Ristoranti, Pub, Librerie ecc.. In questo momento sono poche le voci che stanno suggerendo un modo diverso per rimettere in moto il sistema. A volte emergono solo segnali di prudenza che chiedono di prendere più tempo, ma non sono certo in controtendenza. Solo alcune grandi aziende pubbliche e/o a vocazione tecnologica, la cui struttura si presta bene all’utilizzo del lavoro a distanza, stanno sperimentando un processo produttivo di diversa impostazione. Ciò che stupisce comunque è il forte desiderio delle persone di rivedersi, sconvolte da un lungo digiuno di rapporti umani e anche di soldi da spendere per la vita quotidiana; c’è uno stordimento generale ma soprattutto di quanti vorrebbero tornare a guadagnare con il loro lavoro (artigiani, commercianti, professionisti, operai dei cantieri, impiegati che hanno perso il loro stipendio, ecc.) ma non sanno come fare. Annaspano in un groviglio di regole che li limita e in una carenza di risorse che li blocca. Annaspano e pregano che tutto torni come prima.

Un paese che ha a cuore la vita e la salute dei propri cittadini non può fare altro che assecondare questa legittima e minimale aspirazione del ritorno alla normalità, ma soprattutto non può neanche per un attimo dimenticare che bisogna correre, nel vero senso della parola, a produrre ricchezza altrimenti la recessione sarà irreversibile e l’Europa non potrà più aiutarci se ci lasceremo andare ancora ad una inerzia che gli altri paesi hanno conosciuto solo in parte. Un paese che ha a cuore la vita e la salute dei propri cittadini deve rilanciare sul piatto con quote finanziarie da capogiro, come in una fase post bellica, altrimenti non ci sarà più speranza per noi e per le nuove generazioni. Il Piano Shock per l’Italia, già lanciato da Italia Viva prima della pandemia, oggi non è un’opzione, ma una necessità impellente.

Sulla seconda ipotesi, che, se non ricordo male, era il progetto base del Movimento 5s della prima ora, si può anche discettare in tanti modi, possiamo ricorrere alle frasi fatte “il pianeta non lo abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri ma lo abbiamo in prestito dai nostri figli” o “stiamo consumando tutte le risorse del pianeta e le generazioni future vivranno dei nostri avanzi”, possiamo pensare che Greta e il suo movimento abbiano ragione, e possiamo anche convincerci che il Covid ci abbia fatto bene perché abbiamo città più tranquille, meno traffico, i parchi senza buste di plastica e l’aria pulita. Ma noi tutti sappiamo che il mondo intero, senza eccezioni e compresi i paesi comunisti, vive in un’economia di mercato dove le merci si scambiano a valore e nessuno ti regala nulla. Ora e mai puoi e potrai distribuire ricchezza se non ne produci. L’assistenzialismo ha un limite preciso e banale: si danno soldi anche a chi non lavora, ma solo se ci sono altri che lavorano anche per loro. E’ un pura e semplice equazione matematica.

La regressione felice in questo contesto è un baratro, un buco nero che se ci entri non solo non ne esci più, ma ci sprofondi dentro fino al suo punto più oscuro: il default e la carestia.

Se parliamo della terza ipotesi, per come la vedo io, credo che si debba comunque partire dalla prima. Di qui la necessità di rimettere a posto il paese in modo che la macchina produttiva torni a girare a pieno regime, che l’occupazione torni almeno ai livelli ante crisi, che chi viveva del proprio lavoro quotidiano e senza paracadute previdenziale possa rimettere in sesto la propria attività, che la montagna di soldi presi a prestito per la ripresa e che pagheremo noi e i nostri figli, e la massa di denaro che arriverà dal bilancio UE e dai provvedimenti della BCE vengano impiegati in investimenti produttivi su aziende, imprese e infrastrutture. Insomma è necessario passare alla fase del ripristino o restauro come si fa in un territorio dopo un terremoto: si portano via le macerie, si fa la messa in sicurezza e poi si ricostruisce come e meglio di prima. Diciamo che la fase dello smaltimento delle macerie l’abbiamo superata ed ora stiamo totalmente nella fase della messa in sicurezza che è quella attività necessaria per evitare che non si perda anche quanto è sopravvissuto all’evento. In questa fase non possiamo forse aspettarci grossi processi innovativi perché qui ancora ci guida l’emergenza (evitare il collasso del sistema produttivo), ma poi nella fase di ricostruzione ci dovrà guidare anche l’elemento dell’innovazione, come si diceva in premessa, “cambiamento ed evoluzione”.

E’ in questa fase che un paese che ha a cuore la vita e la salute dei propri cittadini non può ignorare quanto abbiamo scoperto, come individui e come società, durante il periodo di lockdown e durante l’astinenza da rapporti umani e la lontananza (distanziamento) dal proprio posto di lavoro, ovvero che si possono fare comunque tantissime cose da casa che non sapevamo si potessero fare; abbiamo scoperto la comunicazione digitale massiccia e i più sprovveduti sono stati costretti ad imparare subito. Abbiamo dovuto, tutti noi grandi e piccoli, studiare una nuova materia che ci ha riallineato con i tempi (la comunicazione digitale, il lavoro a distanza, i social); una materia che fino a tre mesi fa era principalmente appannaggio di giovani e comunque della generazione dell’era digitale. Questo è un vero salto evolutivo, massimamente se fosse accompagnato da aiuti per la dotazione di terminali in tutte le famiglie e da un potenziamento della rete.

Un progetto che tenga conto, nel processo produttivo sia industriale che nel terziario (scontato ovviamente nella pubblica amministrazione) dell’utilizzo del lavoro a distanza, oggi questa società se lo aspetta perché ineludibile e perché vantaggioso. Senza azzardare modelli organizzativi che rispondano a questo scopo credo comunque che stiamo passando da un’era ad un’altra. Non sarà un processo facile perché porrà parecchi problemi, non ultimo quello di possibili emarginazioni di figure professionali che in azienda diventeranno superflue, effetto di possibili ristrutturazioni aziendali. Con questi problemi dovranno fare i conti la politica, le imprese e i sindacati.

Quello che non dovrà avvenire, ma, sapendo come la natura umana ci spinga ad essere soggetti socievoli e bisognosi di contatto fisico, sono convinto non avverrà, è la vita in un mondo Metropolis (parlo sempre del film) al contrario, dove la condizione da schiavi reclusi non è cagionata da una dittatura paranoica, ma da una libera scelta della nostra società. Le città vuote e la gente in casa dietro ad un computer, le strade desolatamente deserte ed insicure per mancanza dei negozi di prossimità, il commercio dei generi anche di prima necessità tramite i portali online, sarebbero un incubo da cui fuggire. E’ vero che il danaro è il carburante di questa immensa macchina che si chiama economia, ma il motore sono le persone che lavorano e le persone hanno bisogno di socialità. Per questo il lavoro a distanza comunque non potrà mai superare certi limiti percentuali e non potrà mai riguardare le stesse persone perché l’azienda è una comunità dove gli uni imparano dagli altri “de visu”, a contatto, magari anche ridendo e scherzando.

La grande parola che guida il nostro futuro è, lo ripeto, “Riformismo” che rifiuta le rivoluzioni ed aborre l’immobilismo. Sembrerebbero appropriate qui le parole di Lavoisier “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.

(MV)

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