Camille: «Lei è mai stato innamorato?»
in Un cuore in inverno, di C. Sautet
Stephane «Mi deve essere successo»
In questi giorni di #virtualPride e di attenzione diffusa a una lettura aperta e serena del diritto all’omosessualità, quanto mai fortunata è la coincidenza della programmazione su Sky del film “Ritratto della giovane in fiamme”, della regista francese Céline Sciamma, premiato a Cannes nel 2019 per la miglior sceneggiatura.
La storia, il cui set è interamente abitato da donne, è etero diretto nel procedere della trama da un uomo, un signorotto milanese che sappiamo essere in attesa di decidere del suo matrimonio con Héloïse, come possibile ripiego dopo il suicidio della sua prima promessa, la sorella maggiore della stessa Héloïse. Il matrimonio, auspicato dalla madre, avverrà solo a patto di aver permesso al signorotto di conoscere il volto di Héloïse fermato in un ritratto.
Questo piccolo delicatissimo film, che riecheggia le atmosfere della Champion di Lezioni di piano, ha il pregio assoluto di delineare quattro figure femminili che descrivono mondi, e che sempre conservano la caratteristica di autenticità e complessità delle singole esistenze.
Le due comprimarie, la brava Valeria Golino nella parte della madre della giovane Héloïse, e la giovane governante Sophie (centrale nel riportare la vena romantica e scapigliata delle due protagoniste al vissuto traumatico del non amore e della solitudine femminile nell’esperienza dell’aborto procurato) hanno entrambe un ruolo fondamentale nel ritagliare i contorni della specificità caratteriale di Marianne ed Héloïse, rendendo al film la restituzione di universi femminili tutti ugualmente potenti, sia pur nella lateralità rispetto alla storia delle due protagoniste.
La madre, desiderosa di riprendere in mano la propria esperienza mondana, consolarsi del dolore della perdita della prima figlia risentendosi donna che attraversa città, e assicurando ad Héloïse una prigione dorata e connivente al suo bisogno di immersione nel sociale.
La governate giovanissima, che piano si lega alle ragazze, che le porta a comprenderla nel loro mondo, fino a coinvolgerle, quando si scopre in gravidanza, nell’esercizio prezzemolino e, infine, nel vissuto atroce del ferro da calza. Ed è qui una delle scene più toccanti, dove l’aborto avviene, nello sconcerto delle tre donne, sul letto della mammana, mentre la sperduta Sophie tiene, senza stringerle, le dita della mano del figlio piccolissimo e biondo della levatrice, in un contatto straniato.
Ecco dunque accanto a loro le due protagoniste della storia, Marianne ed Héloïse, la prima apprendista nel laboratorio di pittura del padre al tempo della storia, la seconda approdata a questo involontario ritratto e non voluto matrimonio, dopo esser cresciuta sin da piccola in convento. Dove, lei dice, aveva tempo e modo per leggere.
Due caratteri forti, nelle due donne. La prima nella sua ricerca di emancipazione dai ruoli e dalle regole della pittura maschile, consapevole dei vincoli ma ancora incerta nella loro violazione, la seconda assai più forte, radicale e precisa nel suo programma di impedimento e, dopo, nell’innamoramento per Marianne. Nel trasformare tutto questo in un perdurare, nel tempo, dopo la separazione dalla sua amata, del potere consolatorio e accudente del suo amore.
Le due donne si osservano, si scoprono, si interrogano, si contrappongono, si uniscono. Si affidano alle esperienze, alla pittura come inganno e disvelamento, al disegno del loro luogo biografico quando dipingono la scena dell’aborto che segna loro e Sophie.
Al dominio amoroso quando Héloïse è portante, diventando il fantasma della parola amore nell’immaginario e nelle visioni di Marianne, a cui compare in abito da sposa in abbagli improvvisi sul limite dei loro incontri d’amore.
Un amore fra donne impossibile, velato dallo sposalizio ma non sconfitto nella durata, ancorato al suono (Vivaldi), al segno (ritratti), al Mito (Orfeo e Euridice, la perdita che si sconta perché rapiti).
Diversissimo, per molti versi, dall’amore rapito ai protagonisti di Call me by your name di Guadagnino, dove la libertà trasecola, conserva un tratto comune, comune credo all’amore non detto, e invece sussurrato, ri-suonato di stanza in stanza, in privatezza raggiunta per isolamento sentimentale con la musica.
Come in Lezioni di piano, come ne La pianista, come in Amour di Haneke.
Come in Un cuore in inverno, di Sautet. Come in Film blu, di Kieslowski, per restare nel tema stretto del concepimento.
Insomma un film d’amore, di donne, di solitudine e complicità, di comunità inconfessabili e lavori per uomini, di pitture di donne. Di bellezza continua, di struggimento e dialogo d’occhi e di mani, di onde, di rocce.
Imperdibile, se si vuole una carezza. Che non mente, ma rimane a lungo sulla pelle. Non a caso, la Giovane è in fiamme. E non è un rogo, ma un innamoramento.
(NG)
Héloïse: “Ho trovato nella solitudine la libertà di cui parlavate tuttavia ho sentito la vostra mancanza”
(Ritratto della giovane in fiamme, C. Sciamma)