Ospite del domenicale di oggi un articolo di Marco Petrucci su programmi televisivi, App, influencers e bisogno di visibilità. Grazie a Marco per questo contributo alla riflessione comune.
La domanda completa dovrebbe essere: Sapranno i bambini e gli adolescenti di oggi non essere famosi domani? Me la sono posta un pomeriggio durante una passeggiata in uno di quegli enormi centri commerciali che troviamo sempre più numerosi nelle nostre città.
Entrando, ho notato una lunga passerella, sollevata circa un metro da terra, al cui inizio era posto un enorme cartellone. Vi era la foto di due bambini che ballavano e la scritta: Concorso Saranno Famosi. Riservato ai bambini dai cinque ai dieci anni. L’iniziativa in sé per sé potrebbe apparire innocua ma va ad inserirsi in una situazione a dir poco preoccupante per le nuove generazione.
Tralasciamo, per il momento, le considerazioni di tipo morale, poiché a quell’età i bambini dovrebbero avere ben altri interessi e sogni (quanto ci manca il “da grande farò l’astronauta!”). Passiamo invece direttamente all’analisi del contesto generale, ovvero il bombardamento mediatico, che subiscono le nuove generazioni. Purtroppo, e questo è un dato di fatto incontrovertibile, quello che influenza maggiormente le nostre azioni oggi sono il cellulare e tutti i social che girano sull’apparecchio e, in modo minore, il mezzo televisivo. E questo vale ancor di più per i più piccoli, visto la loro fragilità psicologica. Non che i più grandi ne siano immuni (sic!) ma, in linea teorica, dovrebbero possedere un senso critico già sviluppato che potrebbe consentirgli di discernere la realtà da una finzione o, cosa più grave, da un sogno/inganno.
E’ impossibile elencare tutti i social e le App che girano sui cellulari. Il punto cruciale è che impegnano, in un modo o nell’altro, molte ore della giornata di bambini e adolescenti.
Facciamo, invece, una rapida escursione sugli ultimi “grandi successi” del piccolo schermo: Uomini e donne, L’isola dei famosi, Il grande fratello, Amici…. E questo solo per rimanere ai più gettonati, altrimenti l’elenco sarebbe lunghissimo. Anche su questo elenco tralasciamo l’aspetto morale (nella maggior parte dei casi si parla di volgarità e ciarpame a buon mercato) e dedichiamoci strettamente all’argomento trattato da questi pseudo-programmi.
L’elemento cardine è sempre e comunque la ricerca della popolarità. Che questa passi attraverso qualità artistiche, qualità fisiche o squallide esibizioni di volgarità, l’importante è apparire, è diventare famosi. Ma cosa s’intende per famosi? Apparire in televisione o sui social? Guadagnare tanti soldi? Senza scomodare Andy Warhol ed il suo famoso quarto d’ora di notorietà è facile intuire che ognuna di queste domande ha una risposta affermativa. Voglio apparire qualunquista, ovvio. Perché un bambino non dovrebbe sognare di diventare un grande inventore, uno scienziato ecc… ecc… ed invece si trova “costretto” a sognare di essere semplicemente “famoso”? Anche perché, in realtà, dietro a questo essere genericamente “famoso” non c’è nulla di preciso, se non la notorietà in sé, un “valore” nuovo tout court. Qualunque cosa pur di raggiungere l’agognata meta.
Come proteggerli (ripeto: penso sempre ai più piccoli, per gli adulti il discorso è diverso e, se vogliamo, ancora più preoccupante) da questo inganno? La realtà arriverà presto a disegnargli un mondo diverso, fatto di “normalità” e difficoltà. Altro che “tronisti” e “veline”, altro che “amici ballerini” e “sperduti isolani”. Ci troviamo apparentemente disarmati di fronte all’invadenza di questi modelli. Si ha l’impressione, sempre che se ne abbia la volontà, di chiudere una falla e di scoprirne altre dieci. Naufraghi senza speranza in balia dell’etere (televisivo e telefonico)? Forse no.
Siamo chiamati verso le nuove generazioni al difficile compito di proporre modelli diversi e più alti, e in questo senso proporne di più bassi è veramente complicato. Se anche noi cadessimo nel sogno illusorio di proiettare la realizzazione dei nostri fallimenti, o più semplicemente sogni frustrati, sui figli sarebbe l’inizio della fine. Consiglio la visione di un film di alcuni anni fa, “Little Miss Sunshine”, molto educativo a proposito di questo contesto.
Al bando la paura di far sentire i bambini fuori moda o degli esclusi. Tiriamo invece fuori la grinta per opporci alla non-cultura, ai miti di cartone volgari e arroganti, alle gare continue sin dall’infanzia. Insegnare che si può essere leader nel tessuto di una società in mille modi e non che ballare, cantare o fare il Vip di professione sia la scelta più facile e migliore.
Ho lasciato quel centro commerciale disgustato, avendo ancora negli occhi una bambina in lacrime perché non era stata scelta come migliore ballerina. Avrei preferito vederla giocare, anche ballando con le proprie compagne, ma felice e senza responsabilità, invece che triste nel fallimento del primo passo verso la fama.
(Marco Petrucci)