L’esito del vertice di luglio a Bruxelles non ha smesso di alimentare polemiche tra le forze politiche italiane. La maggioranza di governo ha esaltato il successo dei circa 209 mld di fondi europei anticrisi riconosciuti all’Italia; in tale ambito, però, il M5S ritiene che il Recovery Fund renda inutile e forse dannoso il ricorso a ulteriori prestiti nell’ambito del MES. A questa ipotesi, invece, sono favorevoli il PD, Italia Viva e le altre forze del CSX e, dall’opposizione, Forza Italia. L’interrogativo sull’utilità o meno per il nostro paese dei prestiti agevolati che possono essere richiesti tramite il MES può essere sciolto considerando due aspetti principali: a – i tassi di interesse impliciti, cioè le condizioni economiche alle quali verrebbero concessi al nostro Paese quei prestiti; b – gli elementi condizionali, cioè gli impegni sottoscritti dai paesi debitori nei confronti del soggetto che concede il credito.
Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES)
Il MES è un fondo intergovernativo partecipato dai 19 paesi della Zona Euro e dalla Commissione Europea; i massimi azionisti sono Italia, Germania e Francia (tutti con pari peso). Il fondo ha una disponibilità di 480 mld che possono essere erogati, sotto forma di linee di credito, agli stati membri che ne fanno richiesta. In cambio del prestito, lo Stato richiedente si impegna a realizzare un pacchetto di riforme: poiché la richiesta del prestito viene motivata da esigenze di stabilizzazione dell’economia, la pretesa del MES è che almeno parte del prestito sia utilizzata per l’attuazione di un insieme di riforme strutturali che contribuiscono a sanare le instabilità che furono all’origine della richiesta. Questo impegno è vincolante e determina un controllo sull’uso dei fondi concessi e sull’efficacia delle misure intraprese.
Con l’esplodere della pandemia gli Stati che compongono il MES hanno dato vita a una linea di credito speciale detta Pandemic Crisis Support (PCS), alimentata da un fondo di 240 mld. Di questi l’Italia potrebbe richiederne fino a 37 mld. Ciò che rende interessante il MES per l’Italia, nell’ambito di questo programma, è certamente il costo ridotto dei fondi in termini di tasso di interesse: in forma di prestito, la cui scadenza massima è a 10 anni, il tasso annuo è dello 0.15%, cui si aggiunge una commissione anticipata una-tantum dello 0.25%. In breve, il tasso è prossimo allo zero, perciò decisamente minore di quello che pagherebbe il Tesoro italiano per finanziarsi sul mercato emettendo e collocando titoli di stato con scadenza equivalente.
Le differenze tra MES e Recovery Fund
Il Recovery Fund, all’interno del NGEU (Next Generation EU), prospetta oggi per l’Italia la disponibilità di 81 mld a fondo perduto (quindi da non restituire) e di 127 mld in prestiti. A erogare questi fondi sarà la Commissione Europea, cioè il governo dell’organizzazione UE dei 27 paesi. La Commissione non detiene risorse proprie e perciò provvederà ad emettere titoli di debito comune garantiti dai vari stati membri dell’UE. È un meccanismo simile, nelle sue grandi linee, a quello del MES dove però i paesi sono i 19 dell’Eurozona.
Questi prestiti prevedono però delle condizionalità, nella forma dell’impegno del debitore ad attuare un piano nazionale di riforme. In sintesi, la differenza tra MES e Recovery Fund non è così netta e rilevante come si vorrebbe far credere. Il costo dei finanziamenti è sempre minore di quello da sostenere per ottenere le stesse linee di credito sul mercato; i tassi impliciti sono in assoluto più bassi.
In entrambi i casi, quindi, sono previste condizionalità; nessuno presta somme così rilevanti perché il beneficiario ne faccia poi l’uso che crede. Se l’Europa si apre a un impegno finanziario così rilevante, sembra normale che chieda al beneficiario di dare garanzia di utilizzarlo almeno in favore di un rafforzamento dell’economia e delle istituzioni nazionali ed europee. La differenza più evidente, invece, è sui tempi delle disponibilità. Il MES è già pronto a erogare risorse: i 37 mld disponibili per l’Italia potrebbero essere ottenuti già nel corso del 2020. Il Recovery Fund, invece, dovrà attendere che la Commissione emetta e collochi sul mercato i titoli del debito, e questo è difficile che avvenga prima della metà del 2021.
Il Recovery Fund è stato al centro di accese polemiche interne al nostro Paese. Il governo e la maggioranza hanno esaltato il successo dell’Italia per i circa 209 mld di fondi europei anticrisi; l’opposizione ha invece preteso di vedere le “trappole” nascoste dietro l’accordo. Altri ancora rilevano che una parte dei fondi sarà costituita da prestiti, cioè da fondi da restituire nel tempo e sui quali si dovrà pagare un interesse. Così vi è stato chi ha dovuto esortare molti critici a uscire dai sogni e a tornare alla realtà: non si può pensare che una qualche istituzione, che impegni fondi sui quali è applicata una garanzia di stati sovrani, possa semplicemente farne dono al singolo paese. Nei rapporti economico-finanziari fra Stati, si è detto, non c’è posto per Babbo Natale; nessun fondo è mai stato reso gratuito. A suo tempo nemmeno il famoso piano Marshall (1947-51) fu gratuito.
Lo stesso governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, aveva sottolineato che i fondi andranno pagati, e proprio per questo si richiederà al nostro paese di spenderli bene in una serie di infrastrutture e progetti utili a incrementare e migliorare il potenziale di crescita dell’economia. L’Italia dovrà perciò dimostrare, nella presentazione del suo piano di riforme e di dotazioni infrastrutturali, di saper progettare interventi seri, credibili, di ampia portata e di sicuri effetti positivi nel lungo termine. Un terreno, è proprio il caso di sottolineare, nel quale non abbiamo un buon curriculum, dove siamo stati spesso inferiori alle attese. Ma è su questo piano che si gioca la nostra effettiva capacità di successo.
L’aspetto rilevante della cosa è proprio la loro disponibilità nella fase storica nella quale maggiormente se ne manifesta la necessità e, inoltre, il loro costo tanto contenuto rispetto alle condizioni offerte dal mercato, da rendere imperdonabile il loro mancato utilizzo, considerate le drammatiche conseguenze economiche della pandemia in corso. Pertanto, avendo di fronte le economie europee una lunga fase di emersione dalla crisi, i fondi dovranno essere richiesti e utilizzati presto per ampi e seri programmi di ripresa. Il loro pagamento resterà comunque a nostro carico e per questo essi devono essere spesi in infrastrutture e progetti utili, senza disperdersi in rivoli.
I critici del MES
La critica al MES del M5S e quella strumentale di Lega e Fratelli d’Italia, non contesta naturalmente il basso costo di questi fondi, ma si rivolge alle condizionalità legate a questa linea di credito. In contropartita del prestito lo stato richiedente si impegna a realizzare un pacchetto di riforme: un obbligo formalmente ed eticamente inattaccabile, perché determinato dalle stesse motivazioni addotte alla richiesta e alla concessione delle disponibilità. Questo impegno però è vincolante e determina un controllo sull’uso dei fondi concessi e sull’efficacia delle misure intraprese, da parte della “Troika” (cioè del terzetto composto da BCE, FMI e Commissione Europea), ciò che prospetta una temporanea perdita di sovranità.
Il PCS però pone la sola condizione che il credito ottenuto venga utilizzato per estendere e migliorare l’offerta di servizi sanitari, e a vigilare sulla corretta gestione non sarebbe la Troika, come trascurano di notare i critici, ma la sola Commissione Europea. C’è da chiedersi allora, perché il M5S si oppone al ricorso ai fondi del MES e non a quelli del Recovery Fund? Se si parla di tassi di interesse, in entrambi i casi si tratta di tassi agevolati e più convenienti di quelli di mercato; se si parla di condizionalità, queste sono presenti anche per i prestiti del RF. Infine, non vi è alternatività di opzione tra MES e RF: l’Italia, entro i limiti sopra ricordati, può accedere a entrambi i programmi di finanziamento dettati dalla crisi del coronavirus. Ma il programma PCS ha il vantaggio dei tempi ridotti, dell’immediata disponibilità.
È per questo che il ritardo causato dall’avversione dei 5S, che sta impedendo al governo di richiedere quei fondi, oltre che essere inspiegabile, è colpevole verso il sistema sanitario italiano, oggi di nuovo sotto stress e non sappiamo per quanto tempo, verso i lavoratori e i cittadini tutti.
(Gianni DI Marzio)
L’immagine in evidenza è dal sito di Sociosfera*