Tra “seconda ondata” e disordini sociali
Se c’è una questione di rilevante importanza oltre alla situazione pandemica, è quella della ricerca di un responsabile per il nuovo aumento dei contagi. Classico della retorica politica delle “moderne” democrazie occidentali.
In ordine possiamo trovare gli anziani, i giovani, i lavoratori pendolari, i runner, i bambini, gli sportivi… tutti questi hanno in comune una caratteristica, l’essere fisico, ovvero l’essere persone reali, concrete e tangibili.
Persone, facili da additare.
Ma sono realmente le persone la causa di questa nuova ma prevista ondata?
Nel senso comune potremmo affermare ciò, anche solamente osservando il fatto che il virus si trasmette tra le persone, ma perché è ancora così facile che si diffonda non ce lo siamo chiesto.
Probabilmente, la seconda ondata è dovuta ai ritardi strutturali che caratterizzano differentemente le regioni italiane e le amministrazioni locali, nei trasporti, nella sanità, nell’assistenza, nel sostegno e nella fornitura di servizi in generale.
Ovviamente i ritardi strutturali sono delle lacune da colmare e dove non sono state colmate si è ricorso a misure contenitive tipiche di epoche storiche passate, il coprifuoco ne è un esempio.
Ovvio che questo serve per ridurre i contatti superflui specialmente tra i giovani, ma si impone coercitivamente sul tempo degli individui. Tempo che nella fase più critica passata abbiamo riscoperto esser limitato, ci siamo riscoperti esseri finiti.
In sintesi troviamo un capro espiatorio nel soggetto fisico, genericamente inteso, il cittadino, che giustifica i ritardi strutturali assumendosi la colpa del ritorno del contagio.
Le misure prese, quindi, sono il frutto di una richiesta da parte delle regioni e delle amministrazioni locali che, una volta riottenuta un poco di autonomia, figlia di una decentralizzazione concessa dal governo informalmente nell’ultimo Dpcm, si sono fatte trovare impreparate ed hanno attuato politiche contenitive molto forti da un punto di vista simbolico che sembra esser stato rigettato in favore di uno economico.
Ovviamente tutto questo ha portato con sé delle conseguenze, plausibili e probabilmente anche prevedibili.
E veniamo quindi alla “notte di Napoli“.
Questa scarsa legittimazione delle amministrazioni più prossime al cittadino (seppur nel caso napoletano, recentemente riconfermato almeno il governo regionale) e di conseguenza delle misure prese, ha comportato un evento, un fatto sociale di effervescenza, come direbbe il padre della sociologia di nota rilevanza politica, sociale e sociologica.
Comunemente potremmo definirlo come un atto di inciviltà, come un atto da condannare, ma così ci metteremmo solamente in linea con la comunicazione politica contemporanea, non interessata alle cause di quanto accaduto ma a cavalcare il fenomeno alla ricerca del consenso,. Cosa che tra l’altro hanno già fatto tutte le parti politiche, vedasi il TG1 di oggi 24/10/2020, nessuno si è domandato perché questa reazione e perché proprio lì.
Di questi eventi vanno comprese le ragioni e più letture sono possibili del fenomeno, rimanendo nel confronto e senza elevare il confronto al livello scientifico.
Una prima lettura potrebbe tener conto dell’iper-regolamentazione del comportamento individuale su più livelli, dallo stato all’ente locale, riconducendo quindi lo sfogo della rivolta ad uno stato di confusione oppure di senso di oppressione che ha spinto, in questo caso i napoletani, ad agire in modo violento e sregolato. Ovviamente, in questa lettura, la benzina sul fuoco della rivolta la getta la scarsa chiarezza delle regole e la scarsa legittimazione che trovano le istituzioni (stateness) specialmente in questi territori (costante storica di lungo periodo).
Un’altra lettura potrebbe riguardare gli spazi di incertezza (ad esempio economica), quelle nicchie di potere lasciate aperte, dove si inseriscono attori formali e informali del panorama politico e non, che generano agitazione, scombussolamento, col tentativo di generare un cambiamento positivo o negativo, in questo caso, per l’assetto democratico vigente.
Certo è che il fine non giustifica i mezzi, ma da cittadini dovremmo interrogarci sul motivo di tale risposta violenta ad una misura che storicamente è stata già attuata, si pensi agli anni dell’influenza spagnola (e della guerra soprattutto). Bisogna far cadere il velo di Maya davanti ai nostri occhi, quel velo che la comunicazione politica tende a mettere facendoci osservare i fenomeni sociali unicamente sulla base delle nostre categorie valoriali amplificate da sentimenti di odio e d’ordine (entrambi chiave nelle recenti elezioni regionali) .
Non è sbagliato ragionare con gli strumenti che abbiamo, ma è sbagliato abusarne, bisogna osservare ciò che è accaduto cercando di guardare le reali motivazioni alla base, utilizzando un po’ di storia, un po’ di filosofia, un po’ di cultura in generale, non fermiamoci al giudizio visivo immediato.
In conclusione, per chi sente di avere gli strumenti per andare più a fondo, nelle radici della questione, li sfrutti, per osservare e combattere chi, anche ad alti livelli, utilizza il superficiale di questi fenomeni per fini loschi, che hanno motivazioni e cause storiche, sociali ed economiche alla base, ancora oggi da scoprire.
Speriamo che tutti, una volta espressa la solidarietà riflettano su quanto accaduto e perché, speriamo che ci sia qualcuno disposto a intervenire su questi “perché” e speriamo di non trovarci nella situazione in cui, nonostante la conoscenza delle motivazioni si dica «che mangino brioche», ne va della democrazia.
Intanto in questi momenti la protesta si sta dividendo, la violenta di stanotte e la non violenta, tutti siamo invitati ad osservare e conoscere fino in fondo le ragioni di questi eventi per comprendere la realtà del mondo fisico e metafisico che ci circonda.
(Matteo Bonanni)
Le immagini in bianco e nero (relative agli scontri neofascisti del 1970 a Reggio Calabria) sono citate dal portale di Repubblica.it
Le immagi a colori sono da Il Mattino di Napoli, e da Open