IL “NEXT BIG ONE”

(Il grande evento distruttivo)

Li abbiamo derisi quando appartenevano al “terzo mondo”, quello assillato dalla fame e dall’arretratezza, quando vivevano con un pugno di riso. Li abbiamo poi spinti a partecipare al grande banchetto della globalizzazione, confidando sulla loro debolezza. Li abbiamo sfidati nella convinzione che sarebbero stati perdenti perché la loro economia statalista non avrebbe retto al confronto con il capitalismo occidentale. Li abbiamo convinti, infine, a sposare il mercato. Oggi la Cina è un competitor vincente, ci ha costretti a rivedere le nostre certezze, a riorganizzare i nostri processi produttivi per far fronte ad un’invasione di merci a prezzi imbattibili. Sono in crisi le aziende e i sindacati perché il mercato del lavoro è inficiato dalla necessità di incrementare senza sosta la produttività. Questa è la ragione per cui i cinesi ci sono diventati antipatici. Li accusiamo di concorrenza sleale, di “spionaggio” industriale, di trasgressione delle regole doganali e del libero mercato, di sfruttamento dei lavoratori e quanto altro.

Quando le cose non vanno bene, docet historia, bisogna prendersela con qualcuno che è al di fuori del nostro sistema. Oggi sembra che la Cina sia responsabile, e non solo per bocca di Trump, di ogni vicenda negativa, compresa la diffusione di una pandemia che ci assilla come la peste di manzoniana memoria e se loro ora se la cavano più o meno bene, non è perché sono bravi, ma perché sono comunisti e possono gestire meglio la deprivazione dei diritti ai loro cittadini, e non vediamo che c’è una responsabilità collettiva, di sistema, in cui la Cina ha la sua parte ma non esclusiva.

Viviamo in città superaffollate, abbiamo violato le grandi foreste e gli ecosistemi intatti del pianeta, abbiamo fatto terra bruciata dei grandi polmoni verdi dell’Amazzonia, del Congo, del Borneo, del Madacascar, ecc., mangiamo animali di questi ambienti, ci installiamo al loro posto fondando nuovi villaggi e città, facciamo moltiplicare il bestiame con allevamenti intensivi, li riempiamo di antibiotici per farli crescere più in fretta favorendo l’evoluzione di ceppi batterici resistenti, ammorbiamo l’atmosfera con veleni e particelle che favoriscono la sospensione nell’aria che respiriamo di patogeni di varia natura, ci spostiamo velocemente e continuamente sul pianeta distribuendo in giro eventuali patologie contagiose, esportiamo ed importiamo animali domestici e selvatici usati come cibo, per compagnia e usati anche in laboratorio, tocchiamo tutto, mangiamo e dormiamo in ogni dove, ci muoviamo sempre in luoghi affollati in una necessaria promiscuità in cui condividiamo anche il fiato che espelliamo ad ogni respiro. C’era da aspettarselo che le circostanze non favorevoli prima o poi ci avrebbero portato verso questo catastrofico incidente. Uno studioso, investigatore scientifico e divulgatore ne aveva previsto con inquietante precisione l’arrivo.

“Non vengono da un altro pianeta e non nascono dal nulla. I responsabili della prossima pandemia sono già tra noi, sono virus che oggi colpiscono gli animali ma che potrebbero da un momento all’atro fare un salto di specie – uno spillover in gergo tecnico – e colpire anche gli esseri umani …”. Questa è una frase che si trova nel libro Spillover. L’evoluzione delle pandemie, Adelphi Edizioni, pubblicato nel 2012 dallo scrittore e studioso statunitense David Quammen, un esperto di questioni sull’evoluzione naturale e corrispondente scientifico di prestigiose testate come il National Geographic e il New York Times. L’autore ha ipotizzato con qualche anno di anticipo quello che stiamo vivendo oggi e cerca di spiegarci quale è la causa scatenante delle pandemie e come si diffondono nel genere umano.

Il libro è a metà tra un saggio sulla storia della medicina e un reportage, scritto in sei anni di lavoro durante i quali Quammen ha seguito gli scienziati al lavoro nelle foreste congolesi, nelle fattorie australiane e nei mercati delle affollate città cinesi. L’autore ha intervistato testimoni, medici e sopravvissuti, ha investigato e raccontato con stile quasi da poliziesco la corsa alla comprensione dei meccanismi delle malattie.

Nel primo capitolo di Spillover si parla di un grande evento distruttivo, il “Next Big One”, che sarebbe dovuto avvenire, per un sentire comune, nel giro di pochi anni con un rovinoso evento naturale forse un terremoto particolarmente catastrofico, ma l’autore ritiene che sia più probabile che l’evento venga generato da una pandemia e a molti è sembrata una vera e propria profezia di quanto sta accadendo ora, a otto anni di distanza. Una pandemia incontrollabile e letale, proprio come quella di coronavirus. In più, negli altri capitoli si parla anche del consumo di carne di animali selvatici nei mercati cinesi, dell’evoluzione della SARS nel 2003 e di pipistrelli – considerato da molti esperti l’animale serbatoio del Sars-Covid-2.

E’ evidente la lungimiranza dell’autore, tanto che si pone domande del tipo: il “big one” sarà causato da un virus? Si manifesterà nella foresta pluviale o in un mercato  della Cina meridionale? Farà trenta , quaranta milioni di vittime? L’ipotesi è ormai così radicata che potremmo dedicarle una sigla, NBO. La differenza tra HIV e NBO potrebbe essere, per esempio, la velocità di azione: NBO potrebbe essere tanto veloce a uccidere quanto l’altro è relativamente lento. Gran parte dei nuovi virus lavorano alla svelta.

Grande merito del libro, oltre a spiegare i meccanismi di diffusione e di contagio in presenza di una zoonosi (termine che indica il salto di specie del patogeno), stimola profonde riflessioni che possono restituire la giusta dimensione alla nostra presunzione di essere la specie prediletta del creato. Inquietante sentirsi parte della catena alimentare ed anche in un posto scomodo. Le malattie infettive sono una condizione naturale nell’ecosistema in cui è insita la competizione tra le specie, un ciclo in cui non è esclusa la predazione. Siamo abituati a pensare ai predatori come bestie possenti e dotate di artigli che consumano le prede dall’esterno, ma anche i patogeni sono bestie, pure più pericolose perché invisibili, che divorano dall’interno. I predatori hanno le loro prede preferite, naturali elementi nella catena alimentare, ma a volte abbandonano il loro normale comportamento per varie ragioni  e possono scegliere un altro bersaglio. Così si spiega la zoonosi, un incidente, una variante insolita, un’aberrazione, ma può accadere e accade. 

Non possiamo però chiamarci fuori, dicendoci che è la natura, il ciclo normale dell’ecosistema. Dobbiamo considerare che spesso queste varianti sono conseguenza delle nostre azioni. Il crearci un ambiente ostile, depauperato del suo naturale equilibrio. La specie superiore potrebbe aver commesso un tragico errore, sentirsi appunto tale e essersi illusa che avrebbe potuto risolvere qualunque incognita di un equazione che ha un’infinità di variabili tante quante sono le specie che vivono sul nostro pianeta compresi i virus e gli altri patogeni.

Possiamo confidare solo sulla prevenzione strutturale delle nostre istituzioni sanitarie e sulla scienza ed i suoi esperti perché si pongano come sentinelle pronte a dare il preavviso di un pericolo NBO, o che ci aiutino ad uscire da un evento catastrofico come quello che stiamo vivendo, perché su quelle circostanze  non favorevoli di cui abbiamo parlato, forse non c’è più nulla da fare, non possiamo né intendiamo tornare indietro se non a rischio di costringere alla fame parte del genere umano. Questa è la grande sfida che ci si pone dinanzi, conciliare l’equilibrio naturale dell’ecosistema  e con esso la salute, se non la sopravvivenza, con la crescita economica e la salvezza dall’indigenza.

(MV)

*Immagine in evidenza dalla rivista Eco – Altre immagini da Huffington post e dalla rivista Africa

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