“Sono giornate furibonde, senza atti d’amore” cantava, e canta, De André…
… eppure, in qualche modo sature di desideri. Di star bene, di avere un lavoro, di tornare a vivere, sia pure, forse, con regole nuove. Di addii e di incontri, nella distanza che ferisce e unisce.
Accadono cose… ad esempio le frasi sconnesse di Nicola Morra, il disegno mediatico di una Calabria che non merita di esser descritta così come appare dai titoli di giornale: le tangenti, la mafia, gli interessi privati, sono cosa che non affligge solo la mia regione natale, nella quale i più fortunati studiano in attesa di un lavoro quasi tutta la vita, e nella quale i meno fortunati si ingegnano come possono, in alcuni casi, solo in alcuni casi, cadendo preda di offerte di manovalanza.
Molti altri sopravvivono, ognuno nella propria bolla. C’è una abitudine a vedere le cose come sono: difficili, classiste, e a volte, per sopravvivere, solo a volte, inserite in una catena di malaffare.
Ma non pensiate che solo lì, da noi, sia così. Pensate forse che a Roma, a Milano, in Veneto, in Campania, le cose siano differenti? Forse, mi permetto di dire, con la differenza forte nella passione. Questo sì. Un teatro costante, il nostro meridione, di un senso tragico, nel senso migliore, ereditato dall’abitudine al canto, al pianto, una metrica ereditata dai greci e sedimentata con la bellezza di tutto quello che succede “accanto”, mentre noi viviamo.
La volgarità delle cattive articolazioni semantiche si congiunge alla bellezza dei teatri di strada, dei teatri d’avanguardia. Fra musicisti e studiosi, e artigiani, e commercianti, e insegnanti e ragazze e ragazzi, e vecchi e neonati. Il mare porta via ogni anno la spiaggia, e la spiaggia si ricostruisce, piano nel tempo. La speculazione ha offeso, ma la bellezza e la cura cercano la strada per dirsi, nonostante.
In tutto questo, il Covid-19 palesa una solitudine, politica, di risorse e gestionale che, cadute le figure di rilievo del pensiero politico (penso a Riccardo Misasi, a Giacomo Mancini, e ai tanti altri nelle amministrazioni locali di memoria “partigiana”) da decenni abbiamo la riserva di un pensiero debole, ma non capace di offrire una alternativa valida e convincente.
Non perché non ci sia, ma perché cresce, come un po’ tutto dagli anni 90 ad oggi, in un tessuto nazionale votato allo sperpero, alla non conoscenza, al medicamento parziale. Quella stessa visione del “meglio un uovo oggi che una gallina domani” che anima le azioni del Governo nella ricerca di un guado da cui passar oltre il Covid-19, ora con l’ansia di un vaccino che, come panacea, cancelli e risani in apparenza.
Ma ci serve di più, alla Calabria serve di più, alla nazione serve di più, all’Europa serve di più. Serve un Governo che ripensi in un’ottica sistemica, dove se una farfalla vola a Tokyo qualcosa d’altro si muoverà nei nostri spazi. In tutti i nostri spazi. Occorre saper guardare oltre, come fa l’uomo che parla del paesaggio e vede all’orizzonte lo schermo imperdibile di un mondo che lo attraversa. E a volte irrompe, a volte vuol essere abitato, e occorre andare, viaggiare, incontrare.
Ho ascoltato e ascolto le voci sempre più forti della guerra fra poveri, in cui nessuno vince mai. Ho visto le proposte di isolamento dei non giovani e di esaltazione dei giovani. Ho visto vite trasformate in numeri, quel terribile cordoglio senza nome, quell’anonimato violentissimo che riservavamo ai morti per mare, diventare per nemesi il silenzio dei nomi di tutti, un tripudio di numeri, statistiche, e soluzioni finali.
Ma ho visto anche, e vedo, legami che si saldano, passioni che si riaccendono, desideri che piano riemergono, insopprimibili e vitali.
Ecco, è per questo che non possiamo cedere alla logica dei commissari, del meno peggio, della temporanea accettazione del peggio. Sono straordinarie le variazioni che investono le nostre vite, alcune delle quali con in nuce l’umida, neonatale presenza di una linfa, di un germoglio di senso.
Tutto si trasforma, la vita, il lavoro, l’apprendimento, la nascita e la morte accadono in una solitudine grande, la malattia non ha conforto né missionari che possano essere accanto. Ma la scommessa è una prospettiva nuova, che non rinunci alle parole degli uomini e delle donne, alle loro forme di presenza, di unione e di desiderio di vivere “con”.
Vogliamo essere con (con noi stessi, nella dignità di ognuno) e con tutti i possibili altri, di cui non tutto sappiamo, non tutto comprendiamo. Oggi #Lottangolo fa festa al suo interno, è il compleanno di Marcello, dal cui desiderio di avere un luogo per dire nonostante le distanze è nato questo blog. Allora, caro nostro primo sostenitore di questo spazio (che ha una redazione di 4 persone e una rete di amici stretti che lo abitano con costanza e gioia, e di amici che lo condividono e commentano), auguri grandi e di cuore. Soprattutto perché la tua gioia e il senso della vita sono una risorsa per fare e sentire quel bene che solo ci permette di tenere tutto e tutti in gioco, e la mente e il cuore sempre aperti.
E’ un blog senza direttori, 4 amici al bar che amano “chi entra in questo bar”, e hanno fuori, come a meridione spesso, le sedie e una granita di cedro o di limone e di mandorle per assolicchiarsi vedendo che la vita non solo passa, ma vive e vive.
Evviva Marcello, con i tuoi anni meravigliosi e forti, da tutti noi. I versi di De Gregori e De André ce lo dicono, bisogna lasciare l’adolescenza ma essere forti delle nostre scelte, e sempre conservarne il candore e lo stupore, ma non senza ferire. E tu e noi, lo facciamo ogni giorno. E quindi, oggi, buon compleanno,
Nerina (e tutti noi in questo bar)