Stamattina in una telefonata di auguri un’amica mi ha detto che sarebbe bello se l’anno che sta per finire fosse un qualcosa di concreto, un oggetto, per avere il piacere di buttarlo nella spazzatura. Subito mi sono tornate alla mente le fine d’anno dell’infanzia, quando a mezzanotte si scatenava nelle strade del quartiere dove abitavo una sorta di guerra. Dalle finestre e dai balconi veniva buttato giù di tutto. Quando le isole ecologiche non c’erano, e gli spazi accanto ai cassonetti non venivano occupati con disinvoltura da incivili come deposito di oggetti, i più disparati: elementi di cucina, sedie, materassi ecc.., per il semplice fatto che non c’erano cassonetti, e un omino vestito di grigio, con la faccia un po’ sporca, o almeno così lo ricordo io, con un sacco sulle spalle, curvo sotto il peso, prelevava quotidianamente da ogni secchio posto sul pianerottolo, la spazzatura, facendo su e giù per le scale dei palazzi, gli oggetti di scarto, pochi per la verità, perché il consumismo, non era ancora neppure immaginabile, venivano messi da parte tutto l’anno in attesa della fatidica mezzanotte. E così volavano giù perfino i bidet, i lavandini e le immancabili tazze, oltre ovviamente botti di ogni tipo e genere. Lascio all’immaginazione, al ricordo per chi c’era, che cosa significasse trovarsi per avventura o incoscienza, per le strada in mezzo a quella pesante e pericolosa pioggia. Certo oggi sembra impossibile che accadessero cose del genere, le definiremmo incivili, non sto qui a dire cosa sgranassero del calendario gli spazzini la mattina del primo gennaio, diremmo che era tutt’altro che ecologico, ma allora questa parola, forse, non era stata ancora coniata. Eppure c’era un che di liberatorio, di catartico. Si buttava via fisicamente, materialmente e perché no, gioiosamente, allegramente, tutti affacciati ed indaffarati, quello che era di troppo, che era d’impiccio, quello che era superato, rotto, pericoloso e fastidioso. Ora in cui sempre meno si usano le mani, sempre meno si ha confidenza con il fare pratico, tutt’al più usiamo due, tre dita, mentre, e finalmente qualcuno comincia ad accorgersene ed a dirlo, il fare manuale è strettamente legato allo sviluppo mentale ed all’evoluzione dei percorsi psicologici, ecco allora che anche quel gesto manuale e simbolico diventava efficacissimo. Un’allegra festa corale, liberatoria e propiziatoria.
Io cercherò di immaginarlo, non potendolo fare praticamente, o se volete immaginate un gran falò in cui gettare tutto, il fuoco è purificatore, mette allegria, scalda e si sa che la cenere porta con sé l’idea del rinnovamento, il desiderio di “cieli nuovi e terra nuova”.
E allora l’augurio che il nuovo anno sia l’inizio di un cammino di rinascita per tutti e tutte noi.
(mcp)

*Le due foto sono da Custonaciweb e da Radio Monte Carlo