Cosangeles

la Provincia dell’Uomo

Sarebbe una bella cosa se, a partire da una certa età,
si diventasse di anno in anno più piccoli
e si ripercorressero all’indietro gli stessi gradini
su per i quali ci si è arrampicati una volta con orgoglio.” 
(Elias Canetti)

In questo mese di marzo, anno 2000 e 21 del tempo COVID-19, pur non potendo al momento viaggiare, potremo decidere di visitare Cosangeles”. Che sia o non sia la città natale nostra o di chi amiamo, non importa. Si tratta di una città di provincia, al centro nord del sud d’Italia, e in fin dei conti di una provincia dell’uomo

Proprio dell’uomo, sì, perché maschile è il tempo che racconta, e maschile, nel senso più ricco ed ampio, anche il racconto dei racconti. Lo dico senza alcuna rivendicazione di genere, anzi lodando come assai bello il dire che ci appartiene per inclinazione.

Come ogni viaggio distopico, scendere giù dal treno a Cosangeles, potrà portarci a una esperienza dell’anima piuttosto intensa, nella quale è l’oggi ad essere una diminutio desertica se messo accanto a un intenso furore nei sentimenti del passato. Sentimenti che, a tratti, sembrano essere la traccia di un’esperienza ancora vera nel presente, finché desiderato.

A Cosangeles ci porta il giornalista e scrittore Paride Leporace, alla sua prima pubblicazione come autore di racconti. Saggista e già autore di una innovativa esperienza di racconto in versi delle cronache, tutt’altro che locali, sulle pagine di un quotidiano da lui diretto in Basilicata, la bella e ricca raccolta social “C’è poesia nei giornali”.

Paride Leporace approda, con “Cosangeles”, al racconto di memoria, dove l’invenzione è il recupero del canto nella prosa, utilizzandolo in una chiave che più che personale e autobiografica delinea una esperienza di interrogazione degli anni giovanili, del passato, e dell’idea di città. 

Quando leggiamo di Cosangeles leggiamo di una città di provincia, di un periodo preciso nel tempo (si era ancora nel pieno del finir di 900), di Ciccio Paradiso, del pirotecnico Jo Pinter. A metà strada fra Carvalho e Sciascia, con incursioni nel mood del Pazienza a tratti più scaltro a tratti più intimo (“Una canna Charly, sto rollando una canna, poi vado”), il nostro autore trasforma un suo vissuto memoriale in un viaggio fantastico, che fra movimenti, tendenze, storicizzazioni ed esperienze underground, restituisce il clima e il climax non solo di una città specifica e amatissima ma anche, soprattutto, di un luogo per le anime.

Anime adolescenti, in odore di adultità, e talvolta, con commozione, anime di collina, involate lassù. Con sottoscritta citazione fra Spoon River e De André. Passando per la bellezza di Tondelli.

Ma accade e accadeva per tutti i nati a Cosangeles che quella loro provincia si allungasse fino a Roma, divenendone una propaggine nazionale, in un enclave di non residenti. Fra California Project e una periferia pasoliniana, con un omaggio bello da piangere alla Roma del Fellini vivente, industriale, cinematografico, gastronomico ed onirico insieme. Il luogo del successo, dell’insuccesso, dell’incontro e della perdita (di innocenza), ma anche e sempre più, il luogo di chi ritorna a Cosangeles, infine, nella Provincia dell’uomo. 

Un lungo elenco di angeli caduti, un lungo fiume di occhi e specchi. La città vecchia, la costa, periferie di poveri e dependances da ricchi. Se ci sei nato, a Cosangeles, e se c’eri in quegli anni, li vedi fremere tutti quegli occhi, e ti rivedi lì in mezzo, lì accanto. Ma non è questo che conta. 

Potresti essere nato a Berlino, a Ravenna, a Malibù, ma se entri a Cosangeles è per vedere com’era, e com’eri tu, come poteva essere e non è stato, in ogni dove, in quel tempo che targa vent’anni. Che targa Meridione d’Italia, che targa mauditte engagé

Se fosse solo un bel libro autobiografico, io credo conterrebbe altro. Conterrebbe quello strato di vissuti che portano al presente. E’ invece, credo, un viaggio di fondamenta nuove. Un viaggio di trasfigurazione, benché fedele al vero. 

“Cosenza era la sua città, e lo sarebbe sempre stata. Sì, come quella di Isac Allen nel film Manhattan. Non si sceglie dove si nasce, scegli, se sei fortunato, dove morire. Era questo il pensiero di Ciccio Paradiso mentre guardava la tabella blu con il nome bianco di quelle sette lettere che finivano con la desinenza “enza”.”

Insomma, non un viaggio che porta a Itaca, piuttosto in certo senso il bel sogno premonitore con lo sguardo ad Enea. Immaginare la città nuova, eterna, che possa essere la sua Manhattan. E consegnarla ai figli ed ai figli dei figli con tutta quanta la sua forte eredità sentimentale. Non una educazione nei sentimenti, piuttosto una convinta rievocazione capace d’eco, di emersione. Quindi spendibile nella vita di ciascun lettore, di ciascuno in viaggio.

Potremo trovarlo da subito sul sito dell’Editore Luigi Pellegrini, dal 24 in libreria a Cosangeles e ovunque negli store online, questo bel libro di racconti. Valga il biglietto per sola andata, per favore. Nel tempo si viaggia anche per ri-fondarsi, non per disperdersi nella ripetizione del ritorno. 

Auguri grandi a Paride, che rivedo come ieri al portone di Vico II Padolisi, se solo un po’ socchiudo gli occhi. Per questo, e per i libri in narrazione che, ne sono certa, seguiranno

(Nerina Garofalo)

*le foto nell’articolo sono dalle pagine social dell’Autore