“Dopo un po’ padre e figlio si confondono tra la
folla delle Ramblas come due figure di vapore, i
loro passi perduti per sempre nell’ombra del vento”
Con questa epigrafe inizia il libro di racconti di Carlos Ruiz Zafon “La città di vapore”, l’ultimo che ci ha lasciato. In queste parole c’è quasi tutta l’essenza della sua scrittura, capace di trasmettere, come quella di pochi, la magia delle storie, capace di spalancare le porte della fantasia e proiettarla verso spazi infiniti. Ci manca Zafon, una persona solare, aperta, vitale, che riusciva immediatamente a stabilire, nelle presentazioni dei suoi libri, un rapporto diretto con il pubblico, che portava via, ogni volta, anche la ricchezza di una carica di ottimismo. E soprattutto ci manca in un periodo come questo, in cui i desideri sono sempre più schiacciati ed hanno il fiato corto, e sognare è diventata una necessità.
I suoi libri, come le fiabe raccontate prima della buonanotte, in quella terra di mezzo che prelude il sonno, a metà strada tra realtà e sogno, possono trasmettere inquietudine, ma nello stesso tempo lasciano addosso il desiderio di sentirle ancora raccontare. Fiabe a cui abbandonarsi, che possono cullare nonostante il gotico, venate di mistero e di noir, sempre dosati con eleganza, che spesso proprio delle fiabe sono componenti essenziali ed aiutano a crescere.
Carlos Ruiz Zafon l’autore spagnolo tradotto in quaranta lingue e più letto al mondo dopo Cervantes, amava molto il cinema. Si era trasferito non ancora trentenne, dopo quasi dieci anni da pubblicitario, a Los Angeles per lavorare come sceneggiatore ma nonostante la sua grande passione ed il suo lavoro, aveva rifiutato di trasporre in pellicola i suoi romanzi. Anche questo è un regalo che ci ha fatto e gliene siamo grati, perché spesso accade che nelle trasposizioni si perda quell’atmosfera che nessun regista, per quanto bravo possa essere, sarebbe in grado di restituirci senza disfare quello che la fantasia ha creato, impossibile da tradurre, perché le scene reali sono, in quanto tali, limitate e limitanti e perciò spesso, se non sempre, la trasposizione è assai deludente, e lo sarebbe stata ancora di più quella dei suoi romanzi, facendo scomparire per sempre la magia e spegnendo tutto quel mondo straordinario di atmosfere, di colori, di personaggi mirabili a cui, in modo ineffabile, ha dato vita.
Zafon era cresciuto nella Spagna oppressiva e cupa del franchismo, grazie alla distanza, che il più delle volte aiuta a preservare l’aspetto migliore delle cose, aveva conservato l’idea di una città, piena di fascino, nonostante il clima opprimente, una città oggi, ormai nascosta sotto il peso dell’urbanizzazione e del turismo di massa che la invade. Barcellona con i suoi vicoli del quartiere gotico, Santa Maria del Mar, il tram blù, la “Tramvia Blau”, che porta in alto al Tibidabo e le sue ville moderniste, il tetro ed inquietante Montjuic, i colori incredibili del cielo sopra la città, i palazzi liberty, la piazza Reial, i lampioni ed il vapore. Tutto questo e tanto altro c’è nei suoi romanzi, in particolare nella tetralogia de “Il cimitero dei libri dimenticati”. Un’immensa biblioteca ricca di mistero nascosta nel cuore di una Barcellona nebbiosa e piovosa in cui passano generazioni, rapporti familiari, amicizie, il Male, la morte e l’amore. Quella Barcellona che conservava ancora magiche atmosfere, nonostante le cicatrici di un passato violento, l’orrore delle carceri franchiste, le macerie lasciate, non solo negli edifici, dalla guerra civile, la miseria del dopoguerra, è qui che si svolgono, in un tempo che fluttua avanti e torna indietro, le vicende che si intrecciano con i misteri che ruotano intorno al “cimitero dei libri” ed alla famiglia Sempere, librai antiquari da generazioni in calle Santa Ana.
“Ricordo ancora il mattino in cui mio padre mi fece conoscere il Cimitero dei libri dimenticati. Erano i primi giorni dell’estate del 1945 e noi passeggiavamo per le strade di Barcellona intrappolata sotto i cieli di cenere e un sole vaporoso che si spandeva sulla Rambla de Santa Monica in una ghirlanda di rame liquido”.
“Il cimitero dei libri dimenticati – diceva Zafon – è una metafora, non solo per le idee, per il linguaggio, per la conoscenza, per la bellezza, per tutte le cose che ci rendono umani, per la raccolta della memoria”. Ecco, per questo ci manca e continuerà a mancarci.
(mcp)
*Le foto sono da: Pinterest, Apartamento Barcelona Blog – Frances Català-Roca Photolungue.eu