“il gigantismo folle della RAI”

Lettera al direttore

Sentendo le notizie giornalistiche di questi giorni sullo scontro Fedez/RAI, a parte lo sgomento per la risonanza mediatica di una storiella da due soldi, mi è tornata alla mente una lettera al direttore di qualche tempo fa che, condividendola, in particolare sul ruolo delle TV commerciali, la riporto qui di seguito.

<< Una quindicina di anni fa mi avrebbe fatto rabbia, oggi mi fa piacere, anzi molto piacere, vedere Pier Silvio declamare con grande soddisfazione i risultati del suo gruppo. Berlusca “il giovane” vanta primati assoluti di odience, di investimenti infrastrutturali e di palinsesti che sono sotto gli occhi di tutti. Signor direttore non mi fraintenda, non sono qui per sponsorizzare le reti commerciali di cui ho sempre diffidato circa la qualità dei servizi di informazione, ma oggi bisogna riconoscere che queste e Mediaset in particolare, fanno un apprezzabile Servizio Pubblico e offrono ottimi programmi di intrattenimento. Se facciamo la tara di quei programmi superpopulisti come il grande fratello, l’isola dei famosi, ecc., rimane un importante scenario di buona qualità. Quello che più apprezzo dei servizi di informazione delle reti commerciali è che questi, al contrario di quelli RAI, hanno una etichetta stampata sopra: Berlusca , Cairo, Roberto (l’australiano). Se sai esattamente la matrice d’origine di un servizio hai tutti gli strumenti per farne la giusta lettura. 

Dico questo perché la RAI oggi, oltre a non offrire un’informazione oggettiva, non dà neppure la possibilità di fare la tara perché non si sa chi ti sta offrendo il piatto. Il Servizio Pubblico RAI, la missione principale della TV di Stato, oggi propone  un complesso di scadenti palinsesti dai faziosi contenuti proposti ad un’utenza disarmata.

Le nomine alla RAI hanno sempre avuto una terribile ritualità, chiamata “lottizzazione”, caratteristica quasi fondante di un apparato abituato a muoversi nei pressi del sistema politico, ma da un po’, soprattutto da quando il sistema dei partiti si è indebolito ed è stato sostituito da gruppi di potere (capi politici e loro staff, salotti, consorterie varie), il modello è decisamente peggiorato. Il risultato è che oggi il sistema è in mano a manovratori della comunicazione e dell’informazione che non sono più facilmente riconoscibili. Questo impedisce all’utente di utilizzare i giusti filtri di giudizio. 

La variegata consorteria che si è installata al suo interno, le cui “bande” spesso sono in aspro conflitto tra loro, si coalizzano e si barricano non appena intravedono nello scenario politico il pericolo di un cambiamento o di una riorganizzazione aziendale e/o istituzionale. Vi sono rappresentate un tale numero di congreghe che è difficile per chiunque rompere un fronte che, nei momenti critici, è in grado di catturare alleanze a tutti i livelli. Il risultato è, a parte la scarsa qualità del prodotto, un immobilismo e una conservazione dello status quo di cui non c’è pari nell’amministrazione pubblica. Chi può credere che la RAI se non avesse il suo bilancio coperto per due terzi da risorse pubbliche (canone) non sarebbe disastrata quanto ALITALIA? Il canone non è stata una benedizione, al contrario ha favorito un gigantismo ad andamento esponenziale di strutture organizzate per tribù, come dice Carlo Verdelli in una sua recente pubblicazione edita da Feltrinelli. Come potrebbe permettersi una carovana di 13.000 dipendenti, il triplo di quelli di Mediaset che offre un numero impressionante di canali su piattaforme in chiaro e a pagamento?

Il gigantismo RAI è fatto, oltre che dal predetto esercito, da numerosi centri di produzione, corrispondenze estere ovunque, sedi regionali doppie o triple e inviati speciali a strafare ad ogni avvenimento. Qualcuno afferma che alle olimpiadi di Tokyo la RAI è pronta ad inviare una settantina di giornalisti con un esercito di tecnici di ogni specie. D’altronde vediamo le faccette RAI in ogni dove, pure un’eclisse parziale di sole all’altro capo del mondo è una buona occasione per una bella e nutrita trasferta e magari ogni tribù manda la sua troupe.

Signor direttore che dice, non sarebbe ora che la smettessimo con questo canone e si puntasse a una BBC italiana sul modello inglese, unica testata pubblica giornalistica e tutto il resto della RAI, frequenze comprese, all’incanto per la scelta di gestoriprivati ?>>

Gentile lettore lei ci rimanda una brutta immagine del nostro servizio pubblico televisivo, dovrebbe essere un po’ più comprensivo. Anche la RAI è in Italia e come lei sa, qui funziona un po’ tutto all’italiana: “Occasio furem facit”. Qualcuno diceva che i Verdi sono come i pomodori, quando maturano diventano rossi, in tempi più recenti alcuni avevano promesso di aprire la scatoletta di tonno invece il tonno erano proprio loro che volevanorestare dentro indisturbati. Insomma le maschere abbondano e la politica, espressione diretta della gente, anch’essa è fatta di maschere compiacenti ma sempre celanti ardori di potere. Se la RAI soffre di gigantismo e non fa bene il suo mestiere, è colpa certo della politica, è sempre colpa della politica, ma se usciamo dal banale non possiamo nascondere il principale responsabile: la RAI stessa. Come lei sostiene abbiamo a che fare con un esercito asserragliato all’interno che non intende mollare e che, all’abbisogna, si giova di alleanze a tutto tondo. Una riforma radicale come quella che lei propone sarebbe la strada giusta per avere un servizio di qualità, ma la qualità, quella vera, costa e agli inglesi la BBC costa 159 sterline, pari a 181 Euro, di canoneannuo fisso ed obbligatorio. Insomma siamo pronti per una rivoluzione tanto ardita quanto onerosa?

(MV)

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