Raccontare, attraverso un film (in questo caso Il giovane favoloso (2014), di Mario Martone) la vita di un poeta, tranne alcuni rari casi, è impresa ardua e difficile.
Non è un caso che, se la memoria non m’inganna, non esistano pellicole su Manzoni o Dante. Per quanto riguarda Giacomo Leopardi la cosa è ancora più complessa. La poetica dell’autore è meravigliosa ma, se non vogliamo fermarci alla superficialità, non di facile lettura. Martone è un grande regista e riesce in parte nell’ardua impresa.
Il film si apre con le immagini di Giacomo nella natia Recanati, insieme a sua sorella e suo fratello, ancora bambino. Quindi ci guida attraverso una giovinezza fatta di studio “matto e disperatissimo”, sotto lo sguardo severo del padre Monaldo e l’indifferenza della madre. Il poeta soffre del clima angusto (in senso culturale) di Recanati e di gravi problemi fisici. Dopo i primi riconoscimenti da illustri letterati, solo a ventiquattro anni, riesce a lasciare la famiglia. Attraverso un salto temporale lo troviamo, con l’amico Ranieri, prima a Firenze e quindi a Napoli, dove morirà a soli 39 anni, a causa dell’aggravarsi del suo precario stato di salute.
E’ una pellicola che presuppone una cultura elevata, la conoscenza storica dell’ambientazione, l’interesse profondo per l’aspetto filosofico della poetica leopardiana. Martone rimane fedele alla biografia, nulla cedendo allo spettacolo o alla tensione filmica. Ci sono due eccezioni. La parte girata a Napoli, dove l’estro visionario del regista prende il sopravvento, regalandoci immagini molto coinvolgenti. E la colonna sonora. E’ veramente interessante (e avvincente) l’accostamento della musica classica a quella elettronica del tedesco Sasha Ring e del canadese Doug Van Nort.
Personalmente ho trovato il film esageratamente prolisso e molto “pesante” nella parte centrale, quella legata alle vicende fiorentine. Inevitabilmente, la visione della pellicola, mi ha riportato alla memoria le parole della professoressa d’italiano durante i primi giorni del liceo: “A chi di voi accosterà la poetica di Leopardi alla condizione fisica, metterò direttamente due sul registro”. E, effettivamente, questa disquisizione infinita traspare in ogni immagine del film. Una polemica cui mi sottraggo, giudicandola non fondamentale nell’opera del poeta.
Vorrei soffermarmi sulla straordinaria interpretazione di Elio Germano, un attore che riesce a coinvolgermi sempre, qualunque sia il registro adottato. Il film ha ricevuto molti riconoscimenti (5 David di Donatello, un Nastro d’argento, un Globo d’oro e quattro premi a Venezia) e un buon successo di pubblico.
Alcune curiosità. Molte scene sono state girate nella proprietà degli eredi Leopardi (i conti Vanni), quindi nei luoghi reali, dove Giacomo trascorse la sua giovinezza. Il conte Vanni, in un piccolo cameo, interpreta un cocchiere.
E’ nata una violenta (dal punto di vista verbale) disputa tra lo storico e giornalista Ernesto Galli della Loggia e Mario Martone. Se amate questo tipo di schermaglie culturali, è facilmente reperibile su internet.
Un film difficile ma che vi consiglio.
Come sempre, buon cinema a tutti!
(Marco Petrucci)
