JOURNAL 64

Quando le istituzioni ed in particolare il legislatore si occupano dei diritti della persona, interpretando il pensiero etico di un’intera società civile, dovrebbero preoccuparsi prima di tutto di raggiungere il cuore del sentire comune del paese, dovrebbero cercare di coinvolgere nella scrittura di nuove e diverse norme ogni possibile rappresentanza.

Quando si parla di diritti della persona, generalmente ci si riferisce a diritti universalmente accettati, ma allorché il legislatore si addentra in temi specifici che incidono sulla vigente legislazione del codice penale, si crea una doppia strada: da una lato i portatori dei diritti salvaguardati, dall’altro i possibili rei che potrebbero contravvenire le nuove norme. Di fatto si verifica che fattispecie non previste come reati, diventino di colpo penalmente rilevanti e perseguibili.

Questa circostanza impone un’analisi così attenta e così virtuosa di ciò che si protegge e di ciò che si punisce che un concerto di pensieri non basta se non va oltre gli schieramenti politici, se non diventa un tema trasversale.

Si dovrebbe puntare, in ogni riforma legislativa di tale genere, ad un sentimento condiviso o comunque alla possibilità che le novelle norme possano velocemente subire un processo di metabolizzazione di massa, altrimenti rischiano di essere divisive ed inefficaci. Norme ignorate possono perfino costituire la peggior forma di legalizzazione di riprovevoli fatti criminali.

Jussi Adler-Olsen, nel suo romanzo Journal 64, ci racconta una storia accaduta in un paese oltremodo civile, la Danimarca che ha tollerato per quaranta anni che un nutrito gruppo di medici e sanitari facesse scempio dei diritti della persona per indifesi e diversi, con la complicità di molti e sotto l’occhio distratto delle istituzioni. Non è che mancassero leggi che reprimessero crimini tanto crudeli.

Il romanzo, ambientato dall’inizio degli anni ’60 e al 2006, racconta le vicende accadute nella famigerata isola di Sprogø, al largo di Copenhagen. L’isola ospita una struttura per ragazze “indesiderate”, allontanate dalle famiglie perché problematiche, ribelli, libere – spesso incinte e costrette ad abortire dal medico della struttura, oppure con inclinazioni omosessuali che i genitori e i medici ritenevano da estirpare, come una malattia.

La struttura sull’isola in cui è ambientata la narrazione esisteva veramente: fu attiva dal 1922 e il 1961, e si trattava di un vero e proprio centro d’internamento per giovani donne indesiderate dalla società – a cominciare dai loro genitori – per i loro comportamenti giudicati trasgressivi o asociali. Venivano maltrattate, segregate e punite severamente, anche con interventi invasivi come l’aborto e la sterilizzazione. In quegli anni decine di migliaia di donne furono sterilizzate per evitare che la loro eventuale progenie inquinasse la società danese. Pensiamo veramente che nella Danimarca dell’epoca mancassero leggi che punissero tali crimini?

Il pensiero collettivo, l’etica di base di una società, spesso sono il vero quadro di riferimento dei comportamenti di individui e di strutture, nonostante le norme. Queste diventano un vero deterrente quando è la società a farsi carico del loro rispetto, quando è la società che ha incluso nel proprio bagaglio culturale il rispetto dei principi che le norme sanciscono, altrimenti queste sarebbero destinate solo ad incrementare l’ipertrofia del nostro Codice Penale, oggi la vera “star” del nostro sistema giudiziario.

Credo che il Disegno di Legge ZAN dovrebbe partire bene, cioè con un’ampia partecipazione delle forze parlamentari. Credo che sia giusto cercare di condividere con tutti i senatori di buona volontà ed in buona fede questo progetto di legge che garantisce e protegge persone che hanno diritto di essere quello che sono senza censura. 

Partire con una legge approvata con un’esigua maggioranza, tra le proteste di un’ampia opposizione e l’incomprensione di diffusi strati sociali, credo non sia un buon viatico per quello che si definisce processo di metabolizzazione di massa. Sarebbe una norma destinata ad essere disattesa, contestata e inopportunamente modificata al primo cambio di maggioranza parlamentare.

(MV)

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