un racconto di Marco Petrucci
E’ l’alba.
Il freddo mi penetra nelle ossa.
E’ proprio nelle prime ore del giorno che queste coperte, ormai intrise d’umidità, non mi servono più.
E’ finito l’effetto del vinaccio o della birra che rimedio tutte le sere, quello che mi tiene caldo, intorpidisce mente e corpo per quasi tutta la notte.
Devo trovare la forza di aprire gli occhi. Da un po’ di tempo sento i passi della gente, le prime voci della giornata, il rumore della città che si sveglia, le macchine che corrono verso il lavoro.
Una volta lavoravo anche io. Ma quanto tempo è passato? Ne ho perso la memoria.
E, magari avessi perso solo quella. Alcune volte ho persino difficoltà a ricordare il mio nome.
Il passato preferisco cancellarlo, non ha alcun senso.
E apriamoli questi occhi, Pasquale.
Pasquale, il poeta. Così mi hanno ribattezzato nel quartiere. Mi piace recitare poesie, quando riesco a pescare le parole nella confusione che alberga nel mio cervello. Mi piace declamarle se riesco a dargli un ordine preciso mentre riemergono dai ricordi.
Ma non è solo per questo che mi hanno soprannominato così, è anche per la decina di libri che ostinatamente mi porto dietro da…da quanto? Cinque, dieci anni ? Non lo so più.
“Lady Bar”, è la scritta luminosa che mi appare davanti.
Da qualche giorno mi sono trasferito su questo marciapiede. E’ riparato, nessuno ti rompe le palle durante la notte, né la polizia, né qualche teppista che ha voglia di sfogarsi.
E poi c’è sempre qualcuno che lascia qualche euro o ti offre una sigaretta.
Che dolore nelle ossa! Mi risulta pesante scansare anche questa pulciosa coperta verde.
Oggi girerò un po’ di cassonetti o chiederò nella chiesa del quartiere se me ne possono regalare un’altra. Questa ormai puzza di tutto. Ed io, cristo, anche se vi può risultare difficile da comprendere odio lo sporco. Ci convivo. E che altro posso fare? Ma lo odio.
Toh! Nella ciotolina ci sono almeno tre euro. La colazione è assicurata.
Ma a voi sembra facile far colazione per un barbone? Se sei fortunato ti portano tutto fuori.
Se trovi la persona comprensiva ed educata! Altrimenti sono calci nel culo o parole feroci.
Mi ficco i soldi in tasca velocemente, poi chiudo ciotola e coperta nel sacco insieme ai libri e comincio a sgranchirmi le ossa camminando.
Lo so che mi guardano tutti in modo sfuggente.
Conosco quegli sguardi schifati o commiserevoli, ormai ci sono abituato, da anni non ci faccio più caso.
Mi avvio verso la fontanella a due isolati da qui. L’inverno è una tragedia, lavarsi è una tortura.
Ma è più forte di me, un minimo di cura per me stesso è rimasta.
Pensavate che fossi ormai quasi un animale?
Ed invece con ostinata perseveranza, ogni giorno mi rado.
Che ridete? Uso la stessa lametta una ventina di volte, spesso mi squarto, per dio, ma lo faccio per sentirmi ancora una persona. Mi lavo il viso, senza sapone, per carità.
L’estate mi pulisco quasi tutto, ma l’inverno, cercate di capirmi, non ce la faccio proprio…..
Dal sacco estraggo un asciugamano di un colore indefinito e mi asciugo altrimenti con questo freddo mi becco un raffreddore. E un raffreddore per un barbone non è una cazzata come per voi.
Può essere fatale, vuol dire affrontare notti interminabili con la febbre che ti divora.
Mi avvio verso la Caritas per rimediare un pasto caldo.
Prenderò il tram anche senza biglietto.
Scusate il puzzo tremendo signora. Mi sono seduto e preferisco non affrontare lo sguardo di questa donna tra il ribrezzo e la commiserazione. Non tutte le persone sono così. Ormai ho imparato a riconoscerle. Non tutte si fermano al dato oggettivo, cioè che effettivamente emano un odore non propriamente piacevole. Alcuni sono cristiani nel senso più evangelico del termine e non solo quando si tratta di andare a messa la domenica. Vengono a servirci il pasto alla Caritas o fanno il giro di notte per portarci coperte, qualcosa di caldo, oppure solo parole. E, per quanto possa sembrarvi strano, queste ultime sono le più gradite. Un parziale ritorno alla vita civile, ci fanno sentire persone, riemergono i ricordo di quella che fu vita ed ora è solo sopravvivenza.
Il tepore di questa vettura mi fa chiudere gli occhi, qualche immagine ritorna come istantanee ormai ingiallite.
Molti anni fa lavoravo per una società di trasporti. Il tempo ormai ha perso significato, fatico non poco a collocare episodi in un luogo preciso perso nel trascorrere di giorni uguali.
Comunque un bel giorno mia moglie mi cacciò di casa. Aveva trovato un altro.
Probabilmente avevo dato tutto per scontato, non avevo riconosciuto il suo allontanarsi ogni momento di più. A fatto compiuto era troppo tardi per rimediare.
La legge italiana in questo è unica e meravigliosa. Potevo vedere mio figlio una volta la settimana e dovevo pagare quasi mezzo stipendio di alimenti. E tutto questo perché? Io non volevo lasciare la mia famiglia, cazzo. Cominciai a bere. Voi direte che sono un debole e forse è vero. Ma non riuscivo a reagire. Dovevo vivere in una stanza, dividere un appartamento con altre persone. Di più non potevo proprio permettermi. Non mi davo pace. A parte il dolore per tutto quello che avevo perso in breve tempo, c’erano anche dei problemi pratici. Dovetti vendere anche la macchina, i soldi non mi bastavano per benzina ed assicurazione. Come se non bastasse, il datore di lavoro mi beccò una volta leggermente brillo alla guida. Vi giuro che non ero ubriaco, avevo solo bevuto un paio di bicchieri di troppo. Ma non ci fu nulla da fare. Persi anche il lavoro e con quello l’ultimo contatto che avevo con mio figlio. Fu una discesa negli inferi senza ritorno. La mia ex-moglie ed i suoceri mi fecero una guerra spietata. Alcolizzato, incapace di intendere e di volere, incapace quindi di poter badare a me stesso ed a maggior ragione a mio figlio. Ed io precipitavo sempre più in quel gorgo che si chiama depressione.
La realtà appariva sempre più sfumata e nascosta dall’alcool. Cercai aiuto? Non lo ricordo. Sono anni che mi porto dietro questo sacco con pochi libri e niente altro.
Com’è bello il vino rosso rosso rosso , bianco è il mattino
sono dentro a un fosso
e in mezzo all’acqua sporca godo queste stelle.
Questa vita è corta è scritto sulla pelle.
Ma com’è bello il vino bianco bianco bianco , rosso è il mattino
sento male a un fianco.
Vita vita vita , sera dopo sera , fuggi tra le dita.
Spera , mira , spera…
Apro leggermente gli occhi con fatica. Senza muovermi giro lo sguardo intorno.
Tutti chiusi in loro stessi, assorti nei loro pensieri e nelle loro letture. Sembro invisibile.
E cos’è un barbone se non uno degli invisibili. Non è né un potenziale amico, né un potenziale amore. E’ qualcosa di talmente ingombrante che riuscite a non vedere.
Dal finestrino del tram guardo Roma assolata.
Tra qualche mese sarà primavera.
Allora sarà un piacere camminare nei suoi tanti giardini e per il centro. Non sentirò più il freddo nelle ossa ed arriverò anche a credere che possa esistere un futuro.
Torneranno le forze e le giornate lunghe lunghe, gialle, verdi e azzurre.
Il nero della notte ti aspetterà sempre ma sembrerà più lontano. E quando giungerà sarà gremito da mille presenze che faranno compagnia ed infonderanno sicurezza.
Sapete qual è un mio grande sogno? Rivedere il mare. Immergermi di nuovo coperto di sale e blu.
Quest’anno troverò il coraggio di farlo. Si fottessero tutti. I loro stabilimenti, i loro ombrelloni , i loro costumi. Io solo, nudo su quella spiaggia calda. Scansate pure i bambini, stronzi puritani. Io li adoro i bambini, guardano e giudicano ma senza paura. Se il tuo sorriso gli piace ti guardano e ridono a loro volta, se gli incuti paura fuggono tra le braccia rassicuranti delle loro madri. Non barano, giocano a carte scoperte.
Ecco la mia fermata. Largo gente, largo all’orso puzzolente. Mi fai schifo tu, signora del cazzo.
Mamma mia che fila. Sempre più numerosa mese dopo mese.
Potresti anche rispondere se ti chiedo da quanto sei qui, ignorante.
Deve essere straniero oppure andato completamente fuori di testa perchè mi guarda interdetto.
Ciao Luigi. Chissà che avrete preparato di buono oggi.
No. Sto bene. Cos’è questo occhio nero? E chi se lo ricorda. Bevo troppo? Ti prometto che fino a domani non toccherò neanche un goccio. Quanto sono bugiardo. Traditore peggiore di Giuda, traditore anche di me stesso. Ce l’hai una sigaretta? Lo so che fanno male ma non ti sembra di prendermi un pochino per il culo? Scusa. Sono troppo volgare, è vero. Grazie …… me la fumo più tardi.
Quanti tavoli pieni gente. Ripesco dai miei ricordi un’altra istantanea dell’infanzia.
Sono in una colonia, al mare, forse Rimini. Sembra una caserma. I tavoli brulicanti di bambini.
Solo che in questa rimembranza tutti sono felici, urlanti, in attesa di un pasto magari peggiore di quello che mi aspetta oggi ma che saprà di risate e giochi.
Qui invece c’è una specie di vergognoso silenzio. Il nostro pranzo è un generoso pasto di cui ci sentiamo indegni ladruncoli. E’ la fame a spingerci, quella vera. Ed allora lo accogliamo sapendo di non poter fare altro. O peggio.
Sapendo che avremmo potuto fare altro ma che vigliaccamente preferiamo arrenderci.
Ma basta con questo piangermi addosso. Pensiamo a riempirci il pancione.
Sono seduto tra due stranieri. Uno ha una barba enorme, non ha la mia stessa passione per la rasatura a secco. O forse vi ha rinunciato per nascondere il volto. Deve essere uno slavo.
L’altro alla mia sinistra è molto giovane. Tra la sporcizia ed i capelli di un colore indefinito potrei attribuirgli una trentina d’anni, non di più. Deve avere alle spalle una storia più tremenda della mia per essersi perso così presto. Sento la curiosità farsi strada. Vorrei rivolgergli qualche domanda.
Le storie sono il sale della vita e quelle sfortunate rendono più vivibile le nostre.
Provo a chiedergli il nome in francese ed inglese. Stupiti che conosca le lingue? Pensate veramente che sia nato senza patria? Eppure parte delle mie vicende ve le ho narrate.
Mi chiamano il poeta non a caso.
Senza istruzione corriamo il rischio di prendere sul serio le persone istruite.
Ah, ah, ah…scusate la citazione.
Non mi risponde. Secondo me è francese. Ma per una sorte di rispetto, accetto il suo silenzio. Tanti decidono di non parlare più, tanti di viaggiare soli con le proprie fantasie.
Non credo che tutti provino quel profondo dolore che sento io ogni giorno.
Alcuni hanno fatto una scelta consapevole e probabilmente hanno una meta che solo loro conoscono.
Taci pure amico, se è la tua è la scelta giusta.
Ah! Stronzo! Stavi qui alle mie spalle ma ti ho colto con le mani sporche di marmellata.
C’è sempre qualcuno che prova a rubarci quel poco che abbiamo. Una guerra fra poveri.
Cercatela una coperta! Cosa pensavi di trovare? Il tesoro dei pirati? Sembro un vecchio centenario ma non ho dobloni d’oro.
Lo tengo per il collo, dopo un bel pasto sono in forze. Devono intervenire in due per staccarmi.
E’ inutile che mi gridi che sono pazzo, è lui un ladro.
Perchè cacciate via anche me? Bastardi, porci. Non mi credete? Non sono ubriaco!
Fatemi almeno andare in bagno.
Troppo buoni.
Mi aspettano fuori da questa latrina.
Quello dei bisogni corporali è un problema enorme, se vuoi conservare un minimo di dignità.
C’è chi se la fa addosso e se ne frega, ma quelli io li chiamo “gli zombie alla Romero”, sono morti che camminano. Ormai aspettano solo che sia finita.
Io no, per dio.
Anche volendo usare un cesso però il problema è grande. A Roma esistono pochissimi bagni pubblici e sorvoliamo sulle loro condizioni. Inoltre i bar ti dicono sempre che i servizi igienici non funzionano. Potete scommetterci. Rimangono i centri commerciali, sempre se riesci a superare la barriera dei vigilantes e ad evacuare prima che qualche coglione non si vada a lamentare con loro. E’ comunque una possibilità in più. Per fortuna ormai questi centri spuntano come i funghi.
Ultima ratio sono i giardini. Ma devi vincere la vergogna e lo schifo, se ancora per te hanno un significato. La notte però sono assolutamente da evitare, se ti acchiappano da solo rischi veramente di fare una finaccia.
Ecco mi sono liberato e pulito. Vediamo se i miei accusatori sono ancora qui fuori ad attendermi.
Sono calmo, tranquilli. Si ho fatto tutto ed ho lasciato pulito. Vado, vado.
Per fortuna qui vicino c’è un parco, andrò a riposare su una panchina.
Quanto mi rimane in tasca? Non ci vuole un matematico. Sono tre euro. Pochini.
Allungo la mano verso qualche passante. Andate tutti di corsa? Cosa avete da fare così di fretta?
Possibile che non uno di voi si stia godendo questo sole invernale e voglia solo passeggiare?
Grazie. Un euro. Quel ragazzo mi ha rivolto anche un sorriso, regalo inaspettato e gradito.
Proprio qui dietro c’è un vinaio. La classica scritta “Vini e oli” , in bella mostra come un animale raro, tra insegne moderne ed invitanti.
Si un litro di rosso, di quello buono. Ecco due euro.
Tanto lo so che mi mollerà la peggiore schifezza.
Come nella “recherche”, il luogo e gli odori mi riportano un episodio dell’adolescenza.
Con altri quattro amici avevamo deciso di fare una “passatella”. Non so se avete presente quel gioco delle carte dove il vincitore decide chi deve bere un bicchiere o due di vino. Era molto tardi però.
Trovammo aperto solo un vinaio che stava tirando giù la serranda del negozio.
Capì al volo la situazione. Quattro ragazzini in vena di bisboccia. Ci propinò, come se ci facesse il più grande favore del mondo, quattro litri che definire vino sarebbe stato un insulto al peggior produttore del mondo. Come risultato ci sentimmo veramente male e non per aver bevuto troppo.
Questo ha lo stesso sorriso da bastardo, come chi ha trovato il modo migliore per fregare il prossimo. Starà pensando che tanto a me questo liquido serve solo per dormire e scaldarmi fino a domani, non certamente per apprezzarne il sapore.
Non provo neanche a protestare, tanto sarebbe lo stesso. Oltre all’identità quelli come me decidono di perdere anche tanti diritti, non siamo clienti come gli altri.
Bofonchio un ciao stronzo e cambio aria prima di ascoltare risposta. Non è il tipo che possa darmi una battuta ma è meglio non rischiare.
Ecco il parco e laggiù c’è anche una panchina vuota.
Vi adagio sopra la mia cenciosa coperta e mi siedo cominciando a bere dalla bottiglia.
La testa gira quasi subito quando sei un alcolizzato.
Che bei colori però. Verde, giallo, azzurro. E guarda quei due ragazzi laggiù come si abbracciano, ridono, amano. Viene voglia di ridere anche a me. Sole, sole. Voglio guardarti fino a farmi male.
Questa merda di vino comincia anche a farmi sudare.
Che bella musica. E’ un vecchio blues. Mi piaceva da giovane. Bravi ragazzi, ascoltate la bella musica, quella dell’anima.
Ora mi sdraio e chiudo gli occhi per sentirla meglio.
Ci vuole poco affinché il torpore abbia il sopravvento.
E sogno mio figlio.
Chissà che penserà del padre che non vede da anni. Mio Emanuele.
Sono vivo. Tuo padre è vivo. Eccomi. Non mi riconosci? Come no? Guarda i miei occhi, non vedi che sono uguali ai tuoi? Hai una cicatrice sopra il ginocchio destro. Come faccio a saperlo?
Te l’ho detto. Sono tuo padre. Non devi aver paura. Ma cosa ti hanno raccontato? Non fuggire, ti prego. Rimani un altro po’ qui. Devi raccontarmi tante cose. Voglio conoscerti meglio.
Fermati… fermati… fermati…
Cazzo. Qualcosa mi ha buttato giù dalla panchina. E’ notte. Ma quante ore sono passate?
Chi ride? Mi arriva un calcio su un fianco. Porca puttana, ma che fai?
Il dolore mi risveglia completamente. Sono nel giardino che avevo lasciato vivo e colorato.
Ora ricordo tutto. Il vino, la musica, il sogno, Emanuele…….
Un altro calcio su un fianco. Mi manca il fiato. Sono in tre.
Dovevo stare più attento. Vino maledetto.
Io vecchio bastardo? Ma cosa vi ho fatto? Nessuno dei tre deve avere più di vent’anni.
Solite facce da bulletti, vigliacchi al punto giusto.
L’unica cosa da fare è non dire nulla e sperare di cavarsela.
Non c’è nessuno nel parco e poi chissà che ore sono.
Un terzo calcione mi toglie proprio il respiro. Mi viene da rimettere. Cerco di resistere.
Se lo faccio, alla vista di questi bastardi, prenderò ancora di più le sembianze di un animale.
E secondo il loro codice morale che male c’è a torturare un animale?
Basta, vi prego.
E’ peggio, lo sapevo. Un anfibio mi colpisce sulla faccia. Sento il sapore del sangue e un orecchio che mi fischia. Cerco di rannicchiarmi in posizione fetale, proteggendo la testa.
Non conto più gli insulti e le botte.
Quante ne ho prese?
Si sono fermati e sono ancora vivo, forse non tutto intero ma vivo.
Il dolore mi arriva dappertutto, nervi impazziti che mandano inutili richieste d’aiuto.
Li sento parlare mentre continuo a rimanere fermo. Magari mi credono svenuto o peggio morto.
Non riesco a comprendere le parole, devono avermi fatto un bel danno all’orecchio.
Ed ora cos’è questo liquido? Mi stanno pisciando addosso? Ma questo odore……..cazzo è benzina!
Bastardi! Mi alzo di scatto sorprendendo me stesso e sento del calore sulla schiena. Hanno già acceso. Urlo come un folle e li vedo fuggire. Vigliacchi, vigliacchi.
Devo correre. C’è una fontana a pochi metri. Corro, corro. Devo sembrare una torcia umana, rischiaro l’oscurità intorno a me. Eccola. Mi tuffo, d’istinto, così senza pensare a quanto sia alta l’acqua e se ci sia o meno.
C’è.
Sono salvo. Zuppo dalla testa ai piedi. Non devo essermi ustionato. I tre maglioni che porto, uno sull’altro mi hanno salvato. Dovrò rimediarne degli altri, ma ho altro a cui pensare ora.
Sento i brividi di freddo che fanno sussultare questo corpo martoriato.
Hanno fatto proprio un bel lavoro quei tre e c’è mancato poco che completassero l’opera.
Domani un bel trafiletto sul Messaggero e sul Tempo, un breve servizio nei telegiornali e poi chi avrebbe più pensato a quel povero barbone carbonizzato, senza nome e senza passato.
E loro chissà se avrebbero avuto qualche rimorso di coscienza, qualche incubo con una figura urlante mentre il fuoco la divora.
Pura illusione la mia. Quanto dura il rimorso per aver ucciso un gatto o un cane?
Recupero la coperta e la sacca. Almeno queste le hanno risparmiate. Devono avergli fatto veramente schifo.
Se non mi tolgo di dosso al più presto questa roba fradicia prendo una bella polmonite e quello che non ha fatto il fuoco lo farà la malattia.
Butto tutto nella sacca. Per fortuna ho un altro paio di pantaloni. Sopra mi lascio la coperta.
Così va decisamente meglio.
Sento dolori dappertutto ma devo farmi forza.
Pasquale devi farcela alla faccia di quei bastardi. Mi avvio verso la mensa della Caritas. Deve essere più presto di quello che pensavo. C’è ancora qualcuno per strada. Nessuno ha visto nulla, eh?
Tanto ce la faccio da solo, vigliacchi.
E’ ancora aperto. C’è ancora Luigi sulla porta. Lo so che non si può entrare. Cosa ho fatto?
Ora che mi sono avvicinato mi ha guardato meglio, non devo essere un bello spettacolo.
Mi hanno picchiato, hanno tentato di bruciarmi vivo. Come che cazzo dico?
Tiro fuori i maglioni bruciacchiati e bagnati. Non parla più. Ora mi credi, coglione?
Lascio che mi trascini dentro e questa volta posso accedere in un bagno degno di questo nome.
Che piacere farsi una doccia vera con l’acqua calda. Un piccolo miracolo.
Mi guardo allo specchio e vedo quasi l’uomo che fu.
Quando avvicini l’anima, la rabbia ed il dolore sembrano allontanarsi, ma io so che tutto questo è una breve illusione, una piccola vacanza.
Ho voglia di dormire e chissà se domani sarà un giorno diverso.
Voglio concedermelo fino in fondo questo desiderio di sognare.
Luigi mi porta un paio di mutande e un maglione nuovo. Che figurino.
Che ridi? Non avresti anche del dopobarba?
Come? No, grazie. Io torno a dormire al solito posto, accompagnami solo alla fermata del tram.
Mentre andiamo devo promettergli cento volte che domani mattina mi farò trovare lì perchè verrà con un dottore a visitarmi e cerca anche di convincermi a sporgere denuncia.
Povero illuso. Come non conosce la vita che faccio. Crede di comprenderla ma ignora le tante regole diverse dalla cosiddetta convivenza civile.
Combattono con forza la loro debolezza
e colpiscono più forte per non sentire la paura ,
mentre guardano allo specchio il nero pozzo delle loro coscienze.
Dici che sono un poeta? Comunque non è che li perdono, comprendo la paura della loro nullità.
Tutto qui.
Ora lasciami andare.
Lo saluto mentre salgo sulla vettura. Rimanga solo con la sua generosità. E’ giusto così. Perché far pesare a qualcuno quelle che sono solo mie scelte?
Che bel calduccio qui, quello che ci vuole per dimenticare i dolori che sento dappertutto.
Nessun bastardo in vista.
Ora lasciatemi dormire ci penserà l’autista al capolinea a svegliarmi.
Penso che una giornata insieme a me possa bastarvi, se mai decideste di fare un salto qui sul lato oscuro ormai sapete quello che vi aspetta.
Notte amici.
(Marco Petrucci)
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N.d.A.
Il testo della canzone “Il vino” è di Piero Ciampi.
La citazione in corsivo di Gilbert Keith Chesterton.
La poesia, sempre in corsivo, è di Pasquale detto il poeta.