ITINERARI INCONSUETI

Un reportage da Abruzzo e Molise

Deve essere davvero un itinerario inconsueto quello che abbiamo scelto quest’anno per le vacanze perché la domanda più frequente che ci siamo sentiti rivolgere dalle persone con cui ci è capitato di parlare nei nostri giri è stata: “Avete parenti da queste parti?”. “No!” E le espressioni sui loro volti sono state di piacevole e curiosa sorpresa.

Quest’anno andiamo alla scoperta dell’Abruzzo e del Molise. Abbiamo individuato le tappe ed i percorsi, ma come accade quasi sempre, i programmi che si fanno prima di partire, vengono modificati strada facendo in base ai preziosi suggerimenti delle persone del posto che ne sanno in linea di massima più di Google e soprattutto sono più aggiornate.

Alcuni territori dell’interno dell’Abruzzo, la Marsica tra questi, sono aspri ed essenziali e si rispecchiano spesso nel carattere degli abitanti. Ed il pensiero va ad Ignazio Silone e a “Fontamara che somiglia, per molti lati, a ogni villaggio meridionale il quale sia un po’ fuorimano, tra il piano e la montagna, fuori delle vie del traffico, quindi un po’ più arretrato e misero e abbandonato dagli altri…”. Nel vedere questi paesi arroccati come tanti presepi sulle pendici delle montagne, spesso brulle, non si può fare a meno di riflettere su quella che doveva essere in un passato tutt’altro che remoto, la loro condizione fino a quando non sono state costruite le infrastrutture: strade, ponti, viadotti, gallerie, che hanno permesso le comunicazioni.  Ma ci vuole tempo, tanto tempo per riguadagnare quello perduto. 

All’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e i Monti della Laga, ci sono alcuni borghi che fanno parte del Club di quelli più belli d’Italia e Santo Stefano di Sessanio, 117 abitanti, è il primo che visitiamo. Il terremoto del 2009 ha danneggiato seriamente la Torre Medicea, che ne è il simbolo, notiamo con piacere che è in ricostruzione. Il borgo medievale con le case, i monumenti, racconta bene la sua storia. Storia fatta di ordini monastici, di baronie e poi di dominio di famiglie tra cui i Colonna e i Piccolomini che cedettero il paese al duca Francesco de’ Medici e non si può fare a meno di riconoscere l’inconfondibile stile rinascimentale fiorentino. La nostra seconda tappa è Navelli, 508 abitanti. Affascinanti e suggestivi il castello e il borgo medievale che dominano la piana in cui già intorno alla metà del XIII secolo, ci dice una signora molto informata, stupita del fatto che non lo sapessimo, inizia la coltivazione dello zafferano, il cui commercio esplode nel ‘500 (questo lo abbiamo letto) per il largo uso che ne fa la cucina rinascimentale. E lo zafferano è la prima delle tante sorprese che questo itinerario ci riserva. 

Questi territori sono stati teatro dello scontro tra Aragonesi ed Angioini e prima ancora, di scorribande di Saraceni e Normanni e il paese di Pacentro non fa eccezione. E poi anche qui, l’alternarsi di famiglie nobili: Orsini, Colonna, Barberini. Le tracce di questi passaggi sono ovunque, basta guardarsi intorno. Le chiese in questi piccoli borghi sono tante rispetto alla superficie, per l’insediamento nel tempo di vari ordini monastici, molte colpiscono per gli eccessi barocchi, oro e stucchi. Ma questi paesi erano poverissimi! Dopo l’Unità d’Italia l’intera zona fu segnata dal fenomeno del “brigantaggio” e successivamente dall’emigrazione la cui prima fase si protrasse fino alla prima guerra mondiale. Senza dimenticare che questi territori sono stati messi ripetutamente alla prova dai terremoti che si sono abbattuti in varie epoche con devastante violenza.

La storia è alle spalle, ma ci sono tutti gli elementi per tradurla e volendo, trovare la strada per cominciare a risolvere i problemi che ancora permangono, nonostante la buona volontà e l’impegno che c’è da queste parti. Cambiare le cose non è facile perché bisogna iniziare dalla testa e ci sono mentalità e comportamenti radicati che non è facile modificare, ma occorre farlo perché questi luoghi sono bellissimi e meriterebbero qualcosa di più.

A proposito del cambiare approccio alle cose, a Sulmona c’è un ristoratore che sta provando a cambiarle, con una certa fatica, nonostante, ci ha raccontato, sia originario di un paese poco distante. Lo abbiamo scoperto quasi per caso, in un vicolo, che si apre poi in una corte accogliente e ricca di verde, anche se è indicato sulla strada principale, ma il cartello è discreto, sobrio ed elegante come la sua cucina, una rivisitazione della tradizione, ci ha detto, perché i suoi genitori erano contadini. Ci tiene a stabilire con i clienti un rapporto diretto, viene al tavolo e chiede, spiega, racconta. Ed i suoi piatti, davvero particolari e prelibati, svelano al palato, sapori che evocano e continuano a raccontare. Claudia, sua figlia, una ragazza affabile e di grande professionalità, ci spiega che la pasta che usano (buonissima), viene dal Pastificio Masciarelli di Pratola Peligna, a pochi chilometri da Sulmona. Il giorno seguente siamo al Pastificio, non ce lo possiamo perdere, e facciamo un carico esagerato, anche per regalarla agli amici, che ci porteremo dietro per tutto il viaggio, scaricandolo ad ogni albergo. “La pasta non può stare al sole” – si è raccomandato il signor Masciarelli.

Dopo quattro giorni ci spostiamo nel Molise. Scopriamo con sorpresa che Isernia è tra i primi insediamenti paleolitici documentati in Europa. Questa zona è ricchissima di siti archeologici. Altra sorpresa inaspettata. Le attività di scavo sono tuttora in corso. Il Museo del Paleolitico è ricco di materiale con supporto multimediale e contenuti audio e video molto interessanti.  La sera girovagando per le stradine del centro storico, ricche di grande fascino ed atmosfera, nonostante la poca cura e manutenzione, (davvero un peccato, avrebbe grandissime potenzialità!) grazie ad un’illuminazione perfettamente intonata, ci si ritrova immersi in un’epoca indefinita suggestiva ed ammaliante. In piazza Celestino V, nato in questa zona, “colui che per viltà fece il gran rifiuto”, così scriveva il sommo poeta, notiamo in un angolo un palco stile liberty (recente? non sappiamo, ma di grande effetto) e sul lato opposto, la Fontana Fraterna, considerata il simbolo della città, annoverata, dall’enciclopedia Treccani, tra le più belle d’Italia e poi tantissimi e tantissime ragazzi e ragazze, che allegramente la invadono. Ceniamo tutte le sere in un ristorante, anche questo trovato per caso. Un ingresso insospettabile conduce all’interno delle segrete di un palazzo del ‘700, tutto ristrutturato rispettando la costruzione originaria, corridoi e scale che scendono e salgono, salette che si aprono nel quasi misterioso percorso, tutto in pietra a vista, arredi ed illuminazione perfettamente intonati al luogo, fino ad arrivare, a sorpresa, in un grande giardino, bellissimo, tra palazzi antichi e verde, tavoli apparecchiati, il resto lo fanno il sottofondo musicale di Phil Collins e Sting e un’organizzazione perfetta, dietro i vetri la cucina, completamente a vista, cibi e vini deliziosi. I proprietari ed i collaboratori sono davvero dei grandi professionisti!

A Roccamandolfi, ci hanno detto dei ragazzi conosciuti per caso appena arrivati ad Isernia, c’è un Ponte Tibetano, così lo chiamano. Mette alla prova se si soffre di vertigini. Una passerella di stecche e corde di metallo lunga 234 metri, sospesa nel punto centrale fino ad un’altezza di 140 metri.  Un piccolo capolavoro di ingegneria e carpenteria metallica, in mezzo ad un canyon roccioso dove scorre un fiume. Abbiamo visto qualcuno tornare indietro dopo pochi passi, qualcuno con un’espressione preoccupata e un po’ impallidito. Noi con grande soddisfazione ce l’abbiamo fatta con discreta disinvoltura.

Da queste parti si concentrano tante cose che non ti aspetti. A Carpinone ci sono le suggestive Cascata Schioppo e Cascata di Carpinone a cui si arriva attraverso sentieri in mezzo alla natura. Imperdibili. Una zona bellissima, non adeguatamente curata, parcheggi improbabili con “parcheggiatori” che chiedono cifre esagerate. Si potrebbe creare, il luogo lo meriterebbe, un circuito turistico che non avrebbe nulla da invidiare a realtà non solo italiane.  

Altra sorpresa: Frosolone, bandiera arancione del Touring Club Italiano, borgo delizioso e curato, dall’impianto medievale. A Frosolone, considerata un po’ la “Toledo italiana” c’è un’antica tradizione di lavorazione del ferro e dell’acciaio, testimoniata da un museo particolare, quello dei “Ferri Taglienti”, ricchissimo di spade, pugnali, coltelli, forbici, con pezzi notevoli e pregiati. La storia è davvero ricca ed interessante e ce la racconta uno studente che presso il museo fa il servizio civile, dandoci notizie sui pezzi presenti nelle vetrine di esposizione e mostrandoci con dovizia di particolari, l’ambiente in è stata ricostruita una bottega di lavorazione tra ’800 e primi del ‘900 in cui fa mostra il ritratto di Umberto I, che ci dice il ragazzo, venne a visitare il paese, scovato in una vecchia cantina tra gli oggetti donati al museo. Una curiosità: questa è tradizionalmente la zona di origine, in particolare Sant’Elena Sannita, poco distante da Frosolone, di arrotini ambulanti, che qui si rifornivano degli strumenti del mestiere. Quelli che si trasferirono a Roma, tra le due guerre, da arrotini ambulanti, iniziarono a vendere prodotti da barberia, diventando con impegno e sacrificio, quelli che sono ancora oggi tra i più importanti profumieri della città.

A Castelpetroso, anche questo è un borgo medievale, facciamo un incontro imprevisto ed interessante. Mentre ci aggiriamo per i vicoli del minuscolo centro storico, cercando di orientarci, in mezzo alle tante chiese e cappelle contenute in uno spazio tanto piccolo, ci avvicina e chiede se abbiamo bisogno di qualche spiegazione Luca Santillo, riconoscenti rispondiamo di sì. Così il dottor Santillo, grande studioso e ricercatore, inizia a raccontarci la storia, non solo di Castelpetroso, ricca di particolari, eventi, risvolti, quelli che la storia la fanno, ma non si trovano nei libri, sicuramente nel suo, frutto di anni di studi e ricerche. E’ appassionato, competente, una profonda conoscenza del territorio, una di quelle persone che studiano per anni, che continuano a studiare ad approfondire, che non cercano la notorietà, l’esposizione, nonostante l’immensa cultura, ma preferiscono restare nel loro paese, tentando di trasmettere a quelli che hanno l’avventura di capitarci, conoscenza e passione per quei luoghi. “Perché non si pensi – ci dice –  che qui non sia accaduto nulla di importante. Con il tempo ci hanno portato via tutto, svuotato i palazzi, ma non possiamo permettere che ci portino via anche la storia”. Nel momento di lasciare Castelpetroso gli chiediamo la possibilità di una piccola intervista, che riportiamo. Lo salutiamo grati e con grande emozione, un po’ di quella che ci ha tramesso.

L’ultima parte del nostro viaggio ha come base Campobasso. In questa città accogliente, viva, gradevole, si potrebbero trascorrere piacevolmente tanti altri giorni, ma ne restano solo tre. Leggiamo che nel 2018 è stata insignita, dal Ministero dei Beni Culturali, del titolo di borgo di notevole interesse storico. Il suo centro storico, infatti, è davvero bello e ben curato. Nella sua parte più antica salendo una larga scalinata si va al Castello di Monforte di cui si ha testimonianza, leggiamo, già nel 1375, che domina da 790 metri la città. Per arrivare, dopo la scalinata, si percorre un viale alberato da pini su ambo i lati. Sotto ognuno di essi, c’è una targa con inciso il nome di un caduto della prima guerra mondiale. E’ un percorso che emoziona e turba, Qualche pino, pochi per fortuna, è stato tagliato, ho la dolorosa sensazione che quel soldato sia morto per la seconda volta. 

Lungo la scalinata di via Anselmo Chiarizia c’è una statua, realizzata dalla Pontificia Fonderia Marinelli (quella di Agnone) dedicata dalla sua città a Fred Bongusto. Chi ha qualche anno si emozionerà leggendo in alto, lungo via Cannavina, che porta alla scalinata, i titoli delle sue canzoni più famose che si illuminano appena fa buio. I vicoli di questa parte del centro storico sono piacevoli ed affascinanti, con tanti piccoli locali, chiusi nel periodo di ferragosto, ma che lasciano immaginare musica ed allegria.

Proprio in via Cannavina in un ottimo ristorante, scopriamo insieme ai sublimi formaggi, il vino “Tintilia” che, ci spiegano, rivelandone ogni segreto, si produce solo in Molise. Il giorno seguente è partita la caccia al “Tintilia” non saremmo partiti senza averne presa più di una bottiglia, soprattutto, anche queste, per gli amici, i piaceri vanno condivisi!

Adiacente al centro storico più antico, c’è una zona definita “borgo murattiano” risalente cioè al decennio francese (1805-1816), il cui ideatore Gioacchino Murat, era aperto alle idee illuministe e moderne, con tanti spazi verdi, fontanelle, palazzi eleganti e il corso Vittorio Emanuele II. E’ gradevolissimo la sera passeggiare lungo il corso che si anima, dove tutto è abbastanza curato, notiamo piacevolmente sorpresi e con un po’ di benevola invidia che qui non ci sono muri imbrattati. A Campobasso, altra scoperta straordinaria, non ci sono scarabocchi, ci sono tanti murales in diverse zone della città e in questo progetto iniziato dieci anni fa, hanno dato forma alla loro arte writers e artisti famosi, da Blu a Macs, Vesod, Milu Correch, Made 514 e altri. 

Alla scoperta della Street Art dedichiamo un’intera mattinata. E’ una vera e propria Galleria, carica di messaggi forti. Nel quartiere San Giovanni conferiscono vita alle facciate, i palazzi della periferia si colorano con opere d’arte straordinarie che lasciano senza fiato. Il murales di Peeta (Manuel di Rita) in via Liguria è tra i dieci più belli al mondo, in un’illusione ottica, il palazzo sembra abbracciare il cielo, peccato abbia ceduto agli agenti atmosferici. A pochi metri uno straordinario dell’artista italiano Blu dal titolo “La Cuccagna” richiama “Metropolis”, film del 1927 del grande Fritz Lang, dove una popolazione misera, produce, sfiancandosi di fatica, per mantenere un gruppo di persone che vive nel livello sovrastante nel lusso, inquinando l’ambiente con scorie e materiale dannoso. Infinita e sorprendente la sequenza di opere in via Novelli lungo tutto il tratto sottostante la zona ferroviaria, proprio dietro l’hotel in cui siamo, e poi in tante altre zone. Davvero una Galleria d’Arte diffusa.

A Bojano c’è una frazione: Civita Superiore, storico presidio fortificato a guardia della pianura, che fu edificato nell’XI secolo dai Normanni, è composto dal borgo antico e dalla rocca del Pandone. Potrebbe essere un luogo di grande interesse ma è destinato, salvo poche case ristrutturate, a crollare ed è proprio un peccato. Ci ha raccontato, la proprietaria di un negozio di Bojano che tenta, ma sembra con scarsi risultati, di cambiare le cose e di dare delle possibilità a questo territorio ricco di potenzialità, che uno svedese ed uno svizzero erano interessati a rilevare e ristrutturare la Civita, per farne un albergo diffuso, che naturalmente avrebbe messo in movimento l’intera zona. Ma non c’è stato interesse e così il destino appare segnato. Il destino di chi non vuole modificare nulla.

Pieni di entusiasmo andiamo a Guardiaregia, i siti che abbiamo consultato presentano luoghi naturali magnifici. 

Ma: alla Cascata di San Nicola, non c’è acqua. Ci dicono in un bar che è sempre così da giugno ad ottobre. Sarebbe importante che fosse riportato dove si parla delle cose da vedere e non doverlo andare a cercare tra le recensioni, può sfuggire! Per le Gole del Quirino, percorsi complessi, non segnati con chiarezza e ormai dissestati. Comunque le gole non si raggiungono. Fatica inutile!

Fattoria del WWF, forse era del WWF. Ora c’è un signore con suo figlio, allevano cavalli e volgono altre attività collegate. Ci ha detto che lì per fortuna c’è lui ed è grazie a lui…Ma della fattoria non c’è traccia e neppure del WWF. Uno spazio desolato con vasche da bagno trasformate in abbeveratoi per i cavalli, un enorme capannone in metallo, un altro contenitore piccolo con sportelli di plastica tenuti alla meglio, pezzi di metallo sparsi in angoli vari, su un lato una colata di terra enorme. Dietro, più avanti, dove doveva esserci un chiosco, sdraio e sedie di plastica vecchie, degradate, ammucchiate e ormai inutilizzabili. Ma è gentile e a noi che siamo lì, con altri malcapitati spiega che la strada che avevamo imboccato per andare a vedere le Gole, è sbagliata, le indicazioni che ci ha dato, chi sta là per dare le indicazioni dovrebbe darle giuste, ma evidentemente così non è. Ci fa passare per la sua “Fattoria”, attraverso quella situazione surreale, redarguendoci bonariamente in un italiano annacquato dal dialetto, e spiegandoci come si fa per andare dove vogliamo andare (come avrebbe detto Totò). Ma il tentativo risulta frustrante, noi torniamo indietro, è un percorso impossibile, cercando di non farci vedere, temendo ci obblighi a ritentare dicendoci che non abbiamo capito. Gli altri, i nostri compagni di avventura, sono andati avanti, ci auguriamo per loro che siano riusciti a tornare indietro sani e salvi.

La sera ci siamo consolati con il “Tintilia”. 

Il turismo in alcune zone è ancora un oggetto misterioso, eppure potrebbe dare un grande impulso e rimettere in movimento l’intera economia. Ci vorrà del tempo e speriamo che accada. 

Partendo ci siamo portati dietro, un gran desiderio di ritornare presto.

(mcp)

CASTEL PETROSO – Intervista a Luca Santillo

Riprese e foto di Marcello Veccia (c)

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