Nel giorno delle streghe, delle fattucchiere e delle maghe, fa bene forse portare a sintesi quello che accade da qualche mese a questa parte. Abbiamo il desiderio di dirlo con parole semplici, che non possano essere fraintese.
Dopo la cacciata di Conte, che ha permesso al Paese di rimettere in moto, faticosamente e con costi, l’economia del Paese, e quindi grazie all’arrivo di Mario Draghi, si è compreso come un Governo di compromesso fosse l’unica strada per garantire stabilità in uno dei momenti più gravi nella storia del Paese.
Accanto a questo, una mutata politica di comunicazione Stato/Cittadini, puntuale, rigorosa, priva di orpelli, televisiva, noSocial, accompagnata da una campagna vaccinale di sicuro e visibile impatto (che ha retto anche la poca disponibilità di dati incontrovertibili sui diversi vaccini, ma che si è sostanziata intorno a una sicurezza comunque altissima), hanno visto nascere e contrapporsi da diversi lati dell’emiciclo parlamentare e non parlamentare azioni di disturbo via via crescenti. Non contenenti proposte ma attacchi alle singole azioni e tentativi di destabilizzazione.
Si parte dalle polemiche vetero comuniste, ovviamente inammissibili per assurdità dei paragoni, modello Murgia sui Militari al potere (lo dico proprio per il profondo rispetto di ogni singola vittima di una dittatura), dalle palesi inverosimili affermazioni di influencer di varia estrazione che si spalleggiano a vicenda (il geniale Ugo Caruso ha coniato per questo tipo di figure nelle comunità sociali il termine di “autocertificati”), per arrivare alle provocatorie invasioni delle sedi sindacali, che mi chiedo se non nascondano il solo scopo di rendere al Sindacato molto difficile un negoziato sul lavoro che rischia di essere confuso con una attitudine alla mediazione piuttosto che alla rivendicazione.
Insomma, sale e si consolida da una parte una presenza populista, genericamente contestataria, così povera da usare i simboli dell’Olocausto in un minestrone di citazioni, fra abusi e resistenze, da farci prima pena per la mancanza di conoscenza, poi paura per la vicinanza alle modalità goebelsiane di assembramento mediatico (su parole a uso comune, contro la responsabilità soggettiva e la coscienza). Dall’altra, un populismo di sinistra, che imperversa, là dove per convenienza si occupano gli spazi di potere, si stringono alleanze di un giorno, ci si approfitta della povertà delle destre, si utilizzano simboli della conservazione identitaria senza saper guardare alla costruzione reale del bene.
Perché vorremmo che ricordassimo tutti che il riformismo non è una corrente conservatrice del pensiero, piuttosto una proposta di civile e sostenibile mediazione per avvicinare una società, quanto più è possibile, ai valori della democrazia. Questo, per certo, nel riformismo renziano. Un sindacato che difenda solo il privilegio del posto fisso, non è una forza democratica, un PD che si arrocchi sul DDL Zan fino a farlo scomparire, non è una forza democratica. Scaricare comodamente su Italia Viva l’evidente tradimento interno delle indicazioni di voto, non è un atto democratico. E’ un modo per sottrarsi all’analisi politica dei propri limiti.
Esistono, in natura sociale, i gruppi di autoaiuto. Quel che li differenza da un gruppo con un conduttore è l’assenza di una figura di moderatore capace di portare a sintesi le “emergenze” e restituire la complessità come qualcosa su cui si può “agire”. A volte, il PD attuale mi sembra proprio un gruppo di autoaiuto.
Di contro, e la campagna elettorale ultima lo testimonia, se una cosa non manca a Italia Viva è la fiducia (non aprioristica me sempre “ripensata”) nelle indicazioni e l’adesione alle richieste di sostegno alle decisioni. Indubbiamente è, Italia Viva, un gruppo a conduzione carismatica, nel quale o si è parte di un sogno, ma un sogno vero, non quello di Calenda, o ce ne si allontana. Ma davvero mai ci si isola dall’interno. Se lo si fa, lo si fa per smuovere le cose, per aprire un confronto che si gioca sulla propria pelle, e proporre la riflessione su un possibile indirizzo.
Reggere l’odio richiede una grande energia. Richiede una convinzione profonda in quello che si fa e si dice. Una grandissima fiducia nell’altro, e la consapevolezza che l’altro è comunque fuori dal perimetro del sé. Ma si agisce come se fosse all’interno. Si è inclini alla pacificazione, sebbene fuori la pacificazione sia descritta come tentativo di destabilizzazione dell’esistente.
E per certo, se una cosa ha fatto Matteo Renzi al Governo, è stata destabilizzare un vecchio ordine delle cose, uscendone sommerso da una ondata di odio che non si ferma e non ha pari. Di invidia per la capacità e il consenso prima, di non comprensione della tenuta del suo gruppo poi. Di astio per la visione strategica e l’abilità tattica, di ostilità piena per la capacità di interlocuzione internazionale.
Che l’Italia sia capace di recuperarne appieno il valore ci sembra tristemente difficile, per questo ci auguriamo che #MatteoRenzi si apra ed apra a un disegno europeo, sganciato dalle logiche nazionali e portatore, nelle nazioni, del miglior lato delle politiche europee.
In un mondo che ha così radicalmente cambiato i paradigmi della politica, sempre più approssimandosi ai climi pre-dittatoriali che speravamo cancellati per sempre, ci sembra di vedere e vivere un paradosso. Le sinistra, le destre, e i finto-centristi alla Calenda guardare a un orizzonte di parole vuote piene però del risentimento sociale. Una sinistra sinistra capace di intercettare un progetto vero di welfare e di presenza, ma incapace ancora di aprirsi ad una dimensione europeista e di dialogo critico ma aperto coi riformisti. Portare davvero il socialismo in Europa. Riportare davvero la Sinistra in Italia.
Insomma, dovremmo lasciare le ditte e le piazze confuse a chi ha dimenticato di lavorare non per se stesso ma per la democrazia reale, altrimenti “pagheremo caro, pagheremo tutto”… e non sapremo tornare indietro…
(NG & RV)
La foto sono da La Nazione, e da La Repubblica