Gianni Amelio non è un regista particolarmente prolifico, ma ha sempre girato film di qualità e scelto argomenti complessi. Nello specifico, in “Porte aperte”, tratto da un breve romanzo di Leonardo Sciascia, affronta il tema della pena di morte. Nell’ambito più generale della giustizia questo è stato, da sempre, uno dei punti più dibattuti e controversi. Non a caso Amelio scelse il periodo legato alla dittatura fascista per ambientare la storia. Il giudice si trova circondato da un clima che, almeno apertamente, lo spinge ad una condanna veloce ed esemplare. Intorno a sénon c’è un dibattito libero sull’argomento e si trova a dover agire secondo giustizia tra mille pressioni. Alla sceneggiatura collaborò anche il compianto Vincenzo Cerami, uno dei migliori del nostro cinema.
Nella Palermo degli anni trenta, il ragioniere Tommaso Scalia (Ennio Fantastichini) uccide nesso stesso giorno tre persone, compresa la moglie. Le alte gerarchie fasciste e lo stesso imputato vorrebbero un processo veloce che terminasse con un’esemplare condanna a morte. Il giudice Di Francesco (Gian Maria Volonté) vorrebbe agire secondo giustizia e indagare a fondo per far emergere le vere motivazioni del triplice omicidio.
E’ una pellicola molto complessa che si apprezza solo attraverso una visione attenta. Molti dialoghi sono in siciliano e qualche battuta (almeno al sottoscritto) è incomprensibile, forse meno per gli spettatori nativi della Trinacria. Per una precisa scelta, i dialoghi fondamentali sono in un italiano perfetto. Da notare, dal punto di vista della fotografia, il contrasto tra gli ambienti chiusi particolarmente scuri e la solarità degli esterni. Amelio ha voluto rappresentare il clima pesante e asfittico della dittatura combinato con la “reticenza” mafiosa di una certa Sicilia. I due attori protagonisti sono perfetti nei loro ruoli ed è un peccato che un simile destino li abbia visti lasciarci prematuramente. Volonté, in particolare, è stato uno dei migliori interpreti del nostro cinema ed è stato un personaggio straordinario in vari campi artistici e no. Nel cast da rilevare la grande prova di Renato Carpentieri. Il film, oltre ad essere candidato all’Oscar, vinse numerosi premi: quattro “European Film Awards”, quattro David di Donatello, due Nastri d’argento, tre Globi d’oro e due Ciak d’oro.
Il titolo si riferisce al modo di dire “poter dormire lasciando la porta di casa aperta”, vivere senza la paura. Tenendo conto del periodo nel quale è ambientata la pellicola, è evidente la contraddizione. Il giudice, infatti, risponderà: “Io, veramente, tengo sempre ben chiusa la porta di casa”.
Come sempre, buon cinema a tutti!
(Marco Petrucci)
