New York: ore 3 – L’ora dei vigliacchi (1967) – Regia di Larry Peerce
Larry Peerce è stato (per questioni anagrafiche è inattivo da molti anni) un regista particolare e in anticipo rispetto ai propri tempi. Al suo esordio, “One potato, two potato (1964), vinse un premio, per la migliore attrice, a Cannes. Il film affrontava il tema, in chiave drammatica, del rapporto sentimentale interrazziale.
In “New York: ore 3” l’argomento è ancora più complesso e delicato.
Due balordi del Bronx, nel loro vagare senza meta, finiscono in piena notte all’interno di un vagone della metropolitana. Qui trovano un gruppo eterogeneo di persone, la cui singola storia è narrata nella prima parte della pellicola. Senza un motivo scatenante, i due cominciano a esercitare vessazioni di ogni tipo, in particolare psicologiche, sui passeggeri senza che nessuno riesca a reagire.
Le particolarità del film sono diverse. E’ completamente girato in bianco e nero. L’azione si svolge quasi in tempo reale e l’ambiente, nella seconda parte, è rappresentato esclusivamente dal vagone della metropolitana. I personaggi rappresentano le debolezze dell’uomo e, a specchio, le problematiche della società americana. Troviamo l’alcolizzato, l’omosessuale, la coppia in crisi, un afroamericano razzista verso i bianchi, un professore ex-alcolista, una coppia di anziani ebrei, due militari in licenza (siamo in pieno conflitto con il Vietnam). Tutti, tranne uno, non riusciranno a reagire alle violenze subite o a intervenire in difesa di qualcuno. Il titolo italiano, però, trae in inganno rispetto alle intenzioni del regista. L’originale è “The incident” e non vi è nessun cenno su una presunta vigliaccheria dei passeggeri. Le intenzioni del regista sono, maggiormente, quelle di porre l’accento sull’incomunicabilità tra i diversi personaggi, il loro essere chiusi nei propri problemi, sul razzismo e sulle contraddizioni della società americana. Il coraggio di fronte alla minaccia di un coltello, i due balordi sono gli unici a essere armati, non può essere una prerogativa dell’uomo, piuttosto può essere una qualità. Tutti cercano di reagire, ognuno a proprio modo, usando le proprie armi sino ad arrendersi di fronte al pericolo effettivo della morte. Sarebbe un buon esercizio, per ogni spettatore, porsi la sincera domanda su come reagirebbe in una situazione simile.
Peerce riesce a costruire un preciso studio psicologico sui personaggi, realizzando una pellicola di rara profondità. E’ indicativa l’ultima scena, quando i personaggi lasciano lentamente uno per volta il vagone, tornando alla propria vita.
Il cast è eccezionale e tra i meriti del regista c’è quello di aver portato sullo schermo gli esordienti Tony Musante e Martin Sheen, destinati a una luminosa carriera.
Una pellicola che non invecchia, ma regala a ogni visione la possibilità di cogliere diverse sfumature e stimolare nuove riflessioni. Da non perdere!
Come sempre, buon cinema a tutti!
(Marco Petrucci)



