A proposito della redistribuzione degli utili ai lavoratori, ci guarda severo Karl Marx che, dall’alto delle sua individuazione della nozione di plusvalore, ci fa notare come questa proposta, in apparenza assai intrigante, contenga alcune trappole. Un’impresa, a differenza da una cooperativa, fonda il proprio successo sulla vision e sulle strategie di mercato proposte e imposte da proprietà e vertici aziendali. I riposizionamenti, spesso necessari anche repentinamente, sono frutto di leadership e potere d’indirizzo. Ora, la suddivisone degli utili, se non vuol essere una paternalistica concessione su qualcosa su cui non si ha diritto d’intervento, dovrebbe contenere indicatori di performances di osservatorio e innovazione dei processi e dei prodotti, e di collaborazione al “successo” economico con pratiche virtuose, in qualche modo in collisione con la logica stessa di una impresa che non sia cooperativa. E’ pensabile? E’ individuabile un processo che renda questo possibile? Non so, ma certo, fra capitalismo e cooperativismo ci sono abissali distanze, e il secondo modello (quello operativo) di fatto non intacca le logiche né del liberismo né del capitalismo. Sempre si sta su un mercato. Non è che forse lo sforzo dovrebbe indirizzarsi a intravedere un modello economico di crescita felice compatibile con lo spreco di risorse, e con le attuali forme e retribuzioni del lavoro. Forse, piuttosto che una illusoria “partecipazione”, non dovremmo indirizzarci a una contrattazione del lavoro, della formazione, e dello spazio di lavoro nella vita e nel progetto personale che renda equo il saldo del dovuto? In un sistema fiscale che non penalizzi i deboli. Finché Marx resterà il solo a denudare il re, dovremmo accontentarci di costringerlo al rispetto del lavoro. E del sistema fiscale.
Utile per chi?
