Ho finalmente visto ieri Tre piani, il bel film di Nanny Moretti ispirato al libro omonimo di Eshkol Nevo. L’ho visto nottetempo, su Sky, e mi è sembrato di entrare in un lungo sogno biografico. Per molti versi, più che rinviare alle atmosfere di Moretti, il film mi ha tirato su alcune forme del sentire del Moretti attore de La seconda volta, opera prima di Mimmo Calopresti, del lontano, eppur così vicino, 1995. Sicuramente figlio dell’esperienza narrativa di Mia Madre, il film ha dentro dentro, ben dentro, fluida per tutta la durata, una malinconia non incattivita, ma anzi forse addolcita dal dolore della vita reale, e del tempo aspro e dolce che viviamo. Aspro e dolce come il silenzio davanti all’arnia, nei campi gialli odorosi di fiore.
Sono storie di ordinaria solitudine e disagio, quelle che passano per le scale del condominio romano, dove si mescolano non eroici conflitti ma abituali mancanze e ricerche del vivere di tutti. Consuntivi che si fanno a 20, a 30, a 60 anni. Guardati senza giudizio, con molta grazia, siano essi insostenibili, ovvero anche, già spesso, necessari, salvifici. Un personaggio maschile, quello di Moretti attore, non simpatico, non morbido, non risolto. E la trasformazione di alcuni luoghi morettiani (la segreteria telefonica, il ballo di gruppo che poi passa per il ballo di coppia, come già era stato in Mia madre) da luoghi ironici e surreali, a luoghi di un sentire morbido e malinconico, eppure vitale allo stremo.
Molta vita in questo film, molti percorsi di rinascita, di luce chiara. Molto amore per la giovinezza, complicità al desiderio. Personaggi femminili di grazia piena, personaggi. maschili guardati con occhio severo, se non nei perimetri di inizio e fine del vivere adulto. Una Roma di fiume, di condomini del centro, che sa di acqua e luce grigia, ma ferma.
Non comprendo le critiche a un film che è compiuto, senza sbavature, senza retoriche dell’impossibile. Il viso di Margherita Buy, le incertezze adolescenziali, le rabbie e il voglio tutto. L’amore che si vive in tanti modi, fra solitudine e abbraccio. Il non ascolto dell’altro. La ricerca dell’altro. Ci sono madri e figli sempre, a ogni piano del film e della storia, e ci sono percorsi che non si incontrano ma si comprendono, si riallacciano sia pur da lontano.
Ci sono i riti del distacco, il senso dei tessuti, degli odori, delle voci. Non ci sono sapori, è tutto uditivo e visivo, forse a sottolineare che una cinestesia profonda resta il dato impossibile.
Insomma, ancora una volte io Moretti li ritrovo, fra i miei preferiti, fra i miei preziosi compagni di viaggio, come ha sempre compagni di viaggio chi ama il cinema, le storie, le incrinature del silenzio.
(Nerina Garofalo)




