Da qualche anno a questa parte parlare di lavoro, il primo maggio, non è semplice. Le crisi che, una dopo l’altra, investono le persone, le organizzazioni, le nazioni, rendono assai complesso “pensare il lavoro”. Siamo passati attraverso gli esuberati di Pennac, di Massimo Lolli, dei Darnenne, attraverso i call center e il marketing piramidale di Murgia-Virzì, attraverso i rider di Loach, di Fabio Mollo e di Soldini, e di attraverso le crisi di coscienza post pandemia, la disoccupazione degli artisti e dei proiezionisti, attraverso la dedizione sovrumana dei medici e degli infermieri.
Attraverso il lavoro agile e i licenziamenti volontari degli apicali, attraverso lo svuotamento delle aziende dopo la liquidazione degli over 50, ed oggi attraverso un mercato che sia riapre proprio per questa fascia. Siamo passati attraverso società pronte a cambiare e ministri che fanno resistenza, vivendo oggi una crisi di risorse da far davvero paura.
Un sindacato che non descrive l’Italia reale, la solitudine delle partite IVA, le alfabetizzazioni trasversali insufficienti, e tutto un mondo di nativi digitali social oriented che va così veloce da essere non interpretabile per il mondo del lavoro.
Credo che oggi il primo maggio debba salvare pochissime parole, pochissime frasi, e che su quelle si debba costruire il cambiamento, il fermare la guerra, o meglio vincere la guerra delle economie contrapposte, e avere cura delle persone e dei loro valori, in qualsiasi contesto e condizione esse operino.
Credo ci sia molto da salvare e davvero poco da perdere.
Per questo, stamane, voglio ridirle a me stessa, queste poche parole:
- dignità del lavoro (delle condizioni di sviluppo, sicurezza, equa retribuzione, benessere psicofisico)
- verità della formazione (come leva per gli apprendimenti nei sistemi complessi, apprendimenti valorizzati nel presente e spendibili nel futuro)
- attenzione ai processi e ai prodotti e servizi, in ottica di etica e di sostenibilità
- parità di accesso e di crescita, orizzontale e verticale, al di là dei generi, delle fragilità e delle provenienze socioculturali
- cura dei percorsi scolastici e di formazione magistrale, con attenzione alla loro natura pubblica e non discriminante per censo e luoghi geografici
- alfabetizzazione digitale diffusa ed inclusiva
- ricostruzione del tempo di lavoro come integrato in un tempo di vita che ne determini modi e luoghi
- libertà, fraternità ed eguaglianza, come base di ogni possibile negoziazione sindacale e di riorganizzazione
- ricerca viva e costante di modelli di lavoro, retribuzione, politiche premianti e di inclusione che non siano ancorate a mondi oramai inesistenti, e che invece producano ipotesi di cambiamento e miglioramento
- primato della persona e del sociale sul lavoro, e del bene comune sul profitto individuale e di pochi
- determinazione delle forme fiscali finalizzate a welfare, servizi e sistema pensionistico
A tutti, con questo in mente, buon 1 maggio
(Nerina Garofalo)