Ho il covid da otto giorni

testimonianza di Elvira Vinci (seconda parte)

Adesso il racconto si fa duro e ambizioso. Devo raccontare 12 ore. Mi sembra di dover riscrivere l’Odissea.
Ok. Ci provo.

Lunedi ore 13 chiamiamo il 118. Mi stendo sul letto e sento di avere fatto una buona scelta. Continuo a monitorare i battiti e raramente arrivano a 46. L’attesa si rivela lunghissima. Sollecitiamo richiamiamo e ci viene detto che per ragioni facilmente comprensibili (?) si deve avere pazienza.
Pazienza. Pazienza per 4 ore.


Alle 17 e qualcosa arrivano e chiedono se sono in grado di scendere da sola. Lo sono e scendo. Due operatrici e una driver. Tutte donne. Che bello, mi dico. Mi misurano saturazione e battiti. Primo miracolo 98/65. Con le ultime forze rimaste (non sapevo ancora quanta forza avrei dovuto improvvisare nel corso delle ore a venire) provo a dire che in realtà i miei valori erano stati proprio molto diversi…vabbè. Con aria scettica e leggermente seccata mi fanno salire a bordo e così comincia il viaggio. Verso l’infinito ed oltre.


Temperatura esterna 40 gradi, interna all ambulanza non lo so, ma temo 50. In pochi istanti sono completamente intrisa di sudore. Arriviamo al PS. Mi lasciano dentro, portellone ben chiuso, per un tempo che mi sembra eterno. Comincio a credere che ci sia una mischia, uno di quei bailamme tipici della prima ondata a Bergamo. Poi qualcuno apre il portellone e con aria di pena, dice : e fatela scendere, poveraccia, datele una sedia qua fuori. Lui era un sig Nessuno, probabilmente, visto che non mi hanno fatto scendere, ma hanno provveduto, 20 mm dopo l’arrivo, a praticarmi un tampone rapido. Subito hanno richiuso la porta. Ancora 15 mm e constatata la positività mi hanno fatto scendere dal temibile veicolo. Scendendo ho scoperto con stupore che c’era solo quell’ambulanza e che, una volta entrata nel PS, lo stanzone era vuoto a parte un lettino che ospitava una signora riversa in stato catatonico. Mentre mi cambiavo, già avevano allestito il mio letto. Il secondo presente nell’enorme stanza. Non si vedevano subito, ma con un po’ di attenzione, ho notato che il grande salone finiva, in fondo a destra, con una specie di camera dove stavano 6 box ben separati, per ognuno un lettino.

Ore 19…Un operatore sanitario mi pratica un prelievo arterioso e uno venoso, mi chiede perché mi trovo li e gli dico Bradicardia. Dopo una mezz’ora arriva con l’elettrocardiografo e mi fa un tracciato di 10 secondi. Mi dice tutto bene.
Dopo un po’ arriva la raccomandata. E’ una figura tipica. Si riconosce subito. Abbigliamento curato anni 50, calzino candido, modi untuosi, linguaggio elementare, tendenza a non confondersi con la massa.

Queste figure sono molto comuni. In calabria ne trovi almeno una in ogni contesto. Laddove te lo dovessi scordare, serve a ricordarti che c’è il Potente. Non il Potere che è impalpabile, diffuso e magari ti può pure sfuggire. Qua stiamo parlando di uomo/donna potente, angelo che tutela chi sta sotto la sua fibbia. E cosi’ il raccomandato viaggia accanto a te, ma ad una velocità diversa. Banalmente, io ero lì da due ore e già nessuno mi vedeva più. Lei, appena arrivata, fra cerimonie e ossequi in dare e avere, è stata collegata a un monitor per il controllo della frequenza cardiaca.

La stessa cosa che avrebbero dovuto fare a me. Io, che ero a un metro da lei, mentre osservavo lo svolgersi dell’evento, ho esclamato con fragoroso stupore che cacchio aspettassero a fare lo stesso con me. Erano in due : un medico di genere femminile e un infermiere di genere maschile. Mentre il medico si lambiccava a cercare scuse per dimostrare che in realtà per me non era necessario, e chi mi aveva consigliato il ricovero, e che l’elettrocardiogramma era buono anche se rilevava bradicardia…il giovane infermiere mi aveva già attaccato ad un monitor gemello di quello della raccomandata. Considerato che le due risposte si elidevano, non ho trovato ragione di continuare il dibattito. Siamo già alle 22 più o meno. Adesso scriverò in ordine, quello che è successo fra le18, 30 e, appunto le 7 del mattino dopo.


1 – Appena entrata sento che da uno dei box appena fuori dallo stanzone, provengono grida disperate di richiesta di acqua. Grida reali e strazianti di sofferenza. Ho chiesto a qualcuno di intervenire ma mi è stato detto che la persona urlava praticamente per sport. Perchè era cerebrolesa, avrebbe gridato comunque, con o senza acqua, Poi la voce sempre lacerante, lacerata, strozzata, piangente, si è messa ad invocare aiuto in tutti i modi…straparlava, chiamava tutti i nomi del calendario, cantava, piangeva, A momenti erano urla da brividi, un momento dopo provava a blandire i suoi interlocutori immaginari piegando la voce fino a spezzarsi in singhiozzi, poi pregava e salmodiava in lingua albanese, Poi cominciava daccapo. Questo è durato per tutto il tempo che sono stata li. Per un attimo sono andata di sfuggita a buttare un occhio nel suo cubicolo per vederla. Sarà difficile dimenticarla. Una vecchietta completamente nuda seduta in mezzo a un lettino intenta a giocherellare coi tubicini di un catetere. Gridando sempre, senza distrarsi, senza distrarre nessuno.
Un infermiere mi ha detto che le avevano già fatto la sua puntura. Di più non potevano.


2 – in orario imprecisabile hanno affiancato un letto al mio. Un letto con le sponde alte. Il malato era vistosamente sofferente. Coperto con una spessa coperta da caserma, attaccato ad una flebo e ad una bombola d’ossigeno. Il tempo di poggiarlo lì e sono spariti tutti. Il malato visibilmente sofferente, le braccia coperte di lividi, le labbra nerastre ha iniziato a urlare aiuto anche lui. Ha cominciato con nomi di persona (i figli?) poi senza fare nomi ha preso a chiedere aiuto con una voce straziante. Dato che da 5 ore continuava ininterrotto l’urlo della cerebrolesa, si potrebbe credere che un altro urlatore non avrebbe aggiunto granchè. Non è così. Questo era un omone molto imponente e tutto di lui trasmetteva angoscia, pena, dolore, impotenza. Non c’era nessuno ad ascoltarlo. Ha cominciato a spogliarsi tirando via la coperta, un pannolone imbrattato di sangue, la flebo, la mascherina dell’ossigeno. Ho capito che lì c’ero solo io e che qualcosa dovevo farla. Mi sono staccata dal monitor e sono corsa a fare quello che potevo evitando almeno che si buttasse giù dal letto. Poi ho urlato anche io INFERMIERIIII per oltre dieci minuti. Mi sono fiondata fuori dal PS chiedendo aiuto, incaricando qualche persona (qualche altro povero cristo in attesa di soccorso) di trovare qualcuno. Nulla. Sono tornata nel mio letto. Ho sentito impotenza e rabbia. Non riuscivo più a immaginare che ora fosse. Il mio cellulare si era scaricato e qualcuno lo aveva attaccato ad una presa che neppure sapevo dove fosse.

Dopo poco scoprii che erano le 2.30
Lo scoprii male, nel peggiore dei modi.

Se fin qui ho raccontato di fatti, ora devo entrare in un mondo molto più difficile e ambiguo e ho paura di non saper rendere giustizia alla marea di sentimenti che ho fronteggiato nelle successive 4 ore.

Ero tornata a letto e mi ero ricollegata al mio monitor…quello che dava senso al mio essere lì. Arrabbiata, stremata, incapace di sdraiarmi resto seduta nel letto con la paura di dovermi alzare di nuovo. Il malato di fianco era in condizioni precarie, poteva avere ancora bisogno.
E’ ormai molto difficile per me quantificare il tempo. Ho la testa confusa, alterazioni delle percezioni e tutte le sfumature della rabbia e della paura.

Ecco che vedo arrivare due infermieri. Uno è il giovanotto alacre che mi aveva collegata al monitor, l’altra – mai vista prima, una donna. Appena li vedo gli urlo contro quasi tutto quello che era successo e ribadisco con sicurezza scientifica che NON si può lasciare scoperto un reparto come quello lì. Segue un dialogo che, per correttezza o solo per evitare che sembri una mia interpretazione , riporto testualmente.

Voce femminile : “ Ah Ah, voi pensate che noi stavamo giocando a tressette?”
Io “No, io penso solo che qui non c’è nessuno e che ci sono malati gravissimi”
Lei “ E noi che ci possiamo fare? Siamo pochi e non possiamo fare tutto”
Io “ Fra tutto e niente c’è differenza e poi, visto che non ce la fate, perché continuate a fare entrare tutta questa gente? Perchè non glielo dite prima? Perchè non li mandate a morire a casa loro?

Lei “ La colpa è vostra che venite qui, non lo sapete che l’ospedale è affollatissimo?”
Io “ Le pare che uno qualsiasi, pure un demente verrebbe qui se non fosse NECESSARIO? Vengono a farsi una passeggiata di salute? …”
Lei ( tono pungente , sarcastico e definitivo, voltandomi le spalle ) “Dobbiamo portare la giustificazione alla Signora…”
Io (che ho perso la cognizione del tempo ) “Io me ne vado anche subito! Così vi lascio libero il letto.”
Durante il vivace scambio di battute, l’infermiere sta zitto. Appena la sua collega è scomparsa dalla scena, con fare ironico mi dice “ Se ve ne volete andare, siete liberissima di farlo.”
Fortemente tentata , chiedo che ora è. Le due e 50. Allora no, non posso andarmene. Non sveglio nessuno a casa mia a quest’ora. Me ne andrò alle 7.

Poscia più che il dolor potè il digiuno.

Sono crollata sul mio letto senza più forza o voglia di parlare, argomentare, reagire. Ho sperato di svenire.
Sono rimasta immobile come quegli animali che si fingono morti quando fiutano il pericolo. Da quella fase vivace si è passati al silenzio totale su cui campeggiava, sempre uguale, la voce della signora “cerebrolesa” che non si spense mai. Neppure per un secondo. Devo ammettere che anche io, a quell’ora, la sentivo di meno, come il rumore del treno quando si viaggia di notte.

Comincia, adesso, una sorta di processione di personale medico, paramedico, un sacco di gente che viene a sbirciare a controllare i malati, a farsi vedere. Io non li vedevo più e, recuperato il telefonino, mi sono messa a chattare con mia sorella che alle tre di notte , sveglia come se fossero le 10 , mi ha fatto compagnia fino alle 6 ( questi orari sono assolutamente dimostrabili perché un Iphone non sbaglia mai ).

Alle 6.59 termina la conversazione con mia sorella e mi congratulo con me stessa per essere riuscita ad arrivare alle famose ore 7.
Voglio andare via. In camera non cè nessuno. Mi sollevo sul letto e guardo fuori. Vedo una ragazza fuori dalla porta e le faccio un segno di timido richiamo. La signorina mi guarda dritto in faccia e mi fa una boccaccia-sberleffo che mi coglie impreparata. Non capisco, non so se sto delirando, se ho le allucinazioni.


In totale buona fede rifaccio il gesto col ditino per attirare la sua attenzione. Questa ripete la boccaccia con vigore inequivocabile accompagnandola con un inequivocabile gesto della mano e dell’avambraccio Che c@@@o vuoi? . Non so che m’è preso, ma son diventata una bestia e le ho urlato contro come cazzo ti permetti, chi sei, che cazzo vuoi, che cazzo mi fai quella faccia…Lei, urlando come un’indemoniata mi chiude la faccenda con la frase più memorabile di tutte e dodici le ore passate li. ”Signora,- lo volete sapere ? – voi siete una grande maleducata!!!!”

Non mi sono voluta concedere altro. Ho pensato di averne abbastanza. Mi sono staccata dal monitor, mi sono calata una maglietta addosso, ho rimesso assieme le quattro cose che avevo portato con me e ho chiamato a casa per farmi venire a raccattare.

La mia intenzione era di andare via e basta, tanto nella nottata i convenevoli ce li eravamo scambiati tutti. Bene, a quel punto entra la dottoressa che avevo perso di vista più di dieci ore prima. Le dico col cuore in mano che me ne stavo andando, che un’esperienza come quella non l’avevo ancora fatta nei miei lunghi e complicati 70 anni. Lei, impassibile mi dice di fermarmi ancora un po’ per farle scrivere il verbale di dimissioni.
Sento che è contratta e a disagio. Mi invita a restare per aspettare un consulente cardiologico. Poi ci riflette un attimo e a voce bassa mi dice che il controllo potrei farmelo fare fuori di li, appena sarei risultata negativa. Scrive che sono entrata per bradicardia. Che sono stata monitorata tutta la la notte e la frequenza cardiaca è stata tra i 50 e i 60 battiti al minuto. Chiedo se il monitor ha lasciato traccia di questi valori. No…allora mi sono sentita orgogliosa di me ripensando alla foto che ho scattato al monitor: Nella mia foto verdeggia un vistoso 47.

Pochi secondi e sono già nella via vera. Fuori dall’incubo.

N.B. Il monitor era alle mie spalle. Considerando che il personale più che carente era assente, non mi spiego come qualcuno possa fare dichiarazioni in merito alla mia FC di quella famosa notte. L’unico elemento documentale è la mia foto.

47

(Elvira Vinci)

* Contenuti e informazioni sono responsabilità degli autori, anche ospiti, dei singoli articoli.

Una opinione su "Ho il covid da otto giorni"

  1. senza parole…triste chi ci capita! Il grande disagio e’ la totale impotenza del cittadino. Io personalmente feci un reclamo al direttore dell’asl per un ricovero in PS di mia madre 90enne per 2 giorni, trattata malissimo senza medicine, senza essere cambiata, e con noi figli cacciati via. Ad un ns. reclamo ci fu detto che se non ci andava bene potevamo anche portarcela via. Per tutta risposta mi e’ stato detto che da una indagine interna era risultato non vero quanto da me denunciato

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