In argine a “Quei Due” di Giuseppe Varchetta
Esce a due anni dal precedente “Non posso non farmi vivo”, questo nuovo lavoro di Giuseppe Varchetta “Quei due-Una ossessione organizzativa”, (GueriniNext, 2022) dedicato a ridisegnare, intorno a vissuti biografici, autobiografici e di finzione narrativa, le linee di una modalità di intervento nelle organizzazioni e nelle relazioni umane centrato sull’ascolto dell’altro.
Pensando a Luciana Nissim Momigliano, un ascolto rispettoso del mondo.
Lo sguardo di Giuseppe Varchetta, qui come nella sua sterminata produzione fotografica di Street in analogico, fedele da sempre al bianco e nero, è quello di una persona che entra in relazione e in dialogo attraverso lo sguardo, attraverso la mediazione narrativa eterodiegetica, che sa però interrogarsi sul nucleo esistenziale di ciò che accade al proprio sguardo e alla cosa vissuta da esso. Quindi, in qualche modo, sulla storia narrata dal reale, nell’oggetto fotografato, e sulla reazione fra interpretativa e suggestiva di chi racconta.
Un racconto testimoniale, che nella fotografia di Varchetta assume per decenni una prospettiva di osservazione dialogica, e nella sua narrativa di questi ultimi anni la malinconia e la gioia, a un tempo, dei rapporti che si costruiscono nel lavoro e lo travalicano, fra affetti, interventi e impotenze.
Penso possa essere una eccellente lettura del tempo di Natale, oltre che in generale, per chi vive il lavoro, lo osserva e lo nutre nelle forma di intervento e ricerca, e per chi vive il sociale non dando nulla per scontato.
Al centro sempre le persone, per Giuseppe Varchetta, la loro educazione sentimentale presenta nelle sfere del vivere, la necessità di co-dolersi e convivere.
NG, 15 dicembre 2022








