Combattere la violenza

Ospitiamo oggi, per il nostro “Domenicale”, un contributo alla riflessione sulla relazione fra violenza e cultura che ne produce legittimazione e forme che la avvocata penalista Marina Pasqua (da sempre attivamente impagabile nella riflessione sulla differenza e nell’impegno civile e professionale contro la violenza sulle donne) ha dedicato al tema a partire dal libro di Lea Melandri ““Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà”.

Ringraziamo Marina per averci condiviso il consenso a pubblicare il suo intervento e per la ricchezza delle osservazioni (quanto mai attuali) con la quale ci accompagna a guardare anche la riflessione della Melandri sul tema.

COMBATTERE LA VIOLENZA SIGNIFICA SNIDARE LA CULTURA CHE LA PRODUCE

Il misurarsi con il tema della violenza alle donne è ineludibile momento di analisi del “a che punto siamo” nella nostra lotta di liberazione. 

Lea Melandri, esponente fondamentale del femminismo degli anni ’70 è figura ancora oggi presentissima nella vita intellettuale e politica del Paese.

La prima volta che ho incontrato Lea (non la sua parola scritta che mi attraversa da sempre) è stata, nel 2006, a Roma a casa di una comune amica.

Erano gli anni – fecondissimi – della sua collaborazione con “Liberazione”, gli anni del ri-prendere la parola pubblica da parte del Movimento delle donne.

La sua giovinezza, il suo entusiasmo, la sua voglia continua di mettersi in gioco, il suo pensiero femminista sono stati – e sono – contagiosi.

Incontrarla, ogni volta, è un prepotente avvento di primavera e così – con lei e le altre – ci prepariamo ai grandi appuntamenti che ci attendono.

Con “Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà”, Lea Melandri scrive per la prima volta un libro sulla violenza di genere. 

I suoi contributi sono – da anni – di grande importanza ma un libro è un’altra cosa.

Un libro è una cosa che hai nella tua libreria, sul tuo tavolo di lavoro, sul tuo comodino; un libro ha un valore aggiunto, raccoglie e sistematizza un pensiero sulle cose, passa di mano in mano, un libro rimane.

Scriveva Anna Maria Ortese in “Incanto e Furore” (intervista a cura di D. Bellezza, “L’Iguana”, 1978): “il più piccolo atto di giustizia (non oso dire verità o compassione) vale tutto un libro”.

Con “Amore e Violenza”, Lea Melandri compie un piccolo/grande atto di giustizia, rende giustizia.

A se stessa, innanzitutto, perché il tema la interroga e, credo, non vi sia nulla di più bello che scrivere un libro su un tema che ci interroga.

A noi tutte che – di questi temi – da anni ci occupiamo con immensa passione politica.

A noi – tutte e tutti – che ne abbiamo tratto e ne traiamo straordinari spunti di riflessione.

Per dirlo con le parole di Lea: “Gli scritti che fanno parte di questo libro sono nati dall’incontro non fortuito tra la ricerca personale e la riflessione collettiva”.

Questo libro ci parla della capacità – che la Melandri ha sempre avuto – di tenere insieme approfondimento e racconto della cronaca quotidiana.

La denuncia della violenza sulle donne che spesso si ferma all’evidenza, al resoconto sia pure scandalizzato, in Lea diventa analisi appassionata che va a scavare nel profondo della relazione uomo-donna.

Crea nessi, mette in risalto le connessioni e fa apparire con evidenza quello che la società non vuole vedere: esiste un legame tra l’amore e la violenza, tra la violenza e la normalità delle relazioni.

Oggi – scrive Lea – le questioni della vita…irrompono là dove non erano previste, oggetto di capillari controlli, manipolazioni e interventi da parte dei maggiori poteri – Stato, Chiesa, mercato, Tribunali, scienza, media – ma anche soggetti di possibili cambiamenti culturali e politici”.

Tema fondamentale è la messa in discussione dell’ordine, ad opera della libertà con cui gli individui pretendono di decidere della propria vita.

“Per le donne la libertà è – prima di tutto – il trovare, il ri-trovare una identità, essere”.

 “Riappropriarsi del corpo attraverso la pratica dell’inconscio, la pratica delle relazioni tra donne”. 

La pratica della relazione tra donne è la pratica – da anni – della metodologia dei Centriantiviolenza.

Non è un caso, infatti, che molte delle donne che lavorano nei Centriantiviolenza vengano dal Movimento Femminista ed abbiano ritenuto

 – e ritengano – quell’esperienza politica una naturale prosecuzione nel cammino di liberazione insieme alle altre donne.

Sino a quando vi saranno donne – tante, tantissime – che subiscono e tollerano la violenza di genere, nessuna di noi potrà dirsi veramente libera.

Il discorso sulla Legge e sui diritti è discorso che – per la mia esperienza di donna del Movimento, di donna dei Centriantiviolenza, di avvocata dei Centriantiviolenza – incontra il pensiero femminista in modo potente.

Il Movimento delle donne interviene nel discorso sulla legge e sui diritti.

Si pensi all’aborto, alla contraccezione, alla legge in tema di violenza sessuale e al reato di atti persecutori (c.d. Stalking) e a ciò che si muove in tema di femminicidio.

Il Movimento delle donne dice la sua in tema di diritto penale. 

Concordo, però, con quanto sostiene Lea nel suo libro, ovvero che il pensiero femminista sul diritto “forse per la radicalità delle sue pratiche ha avuto in Italia una minore diffusione che in altri Paesi insabbiandosi nel dilemma uguaglianza/differenza”.

Ciò è avvenuto invece di avventurarsi nei temi, più affascinanti, del diritto sessuato, dei quali Tamar Pitch scriveva, e bene, agli inizi degli anni ’90. Indimenticabile lo splendido numero 2 del trimestrale “Democrazia e Diritto” (uscito nell’aprile-giugno del 1993) nel quale ci si interrogava “se il diritto sia utile o meno, e a che cosa, eventualmente, possa servire”. “Sono domande – per come sostenuto dalla Pitch – le cui risposte dipendono sia dalla visione del diritto (e dei diritti) che si adotta, sia da ciò che ciascuna intende per femminismo, ciò che ciascuna ritiene sia necessario e utile per le donne (o per alcune donne)”.

Tornando al libro della Melandri, superba appare la lettura della figura berlusconiana come “seduttore sedotto”, (figura di una mascolinità che non disdegna inclinazioni femminee come figura che “scompiglia gli ordinati rituali della polis…con l’affiorare di una costellazione di tratti maschili disarmati e disarmanti”.

Combattere questa seduzione con le armi della serietà rischia di sortire l’effetto opposto, dando spazio al mondo delle cose che non siamo stati capaci di dire.

Fra i “non – detti” vi sono, sicuramente, le molte facce della violenza che ha segnato storicamente i rapporti tra i sessi.

Le analisi di questa vicenda sono tenute ai margini del dibattito politico.

È nel secondo capitolo, quello dal titolo “Madri-amanti” che si rinviene un’analisi straordinariamente densa sulla violenza commessa in danno delle donne.

È nell’amore-passione, nel “desiderio di possedere e di essere posseduti”, nella “prima dimora degli umani che si cela un’innegabile componente claustrofilica”.

“Dove l’incontro agisce sotto la spinta di un fatale ricongiungimento – scrive Lea – non può esservi libertà”. 

“La diade amorosa, l’unità a due, la coppia fusionale, ha dentro un forte potenziale di distruttività”.

Parla Lea di una guerra mai dichiarata tra i sessi, che passa attraverso l’appropriazione del corpo femminile, la fissazione della donna nel ruolo di madre, la sua espulsione da una comunità storica di uomini.

Vi è poi, bellissimo, l’affondo del corpo vile.

“Lo stupro e l’omicidio sono le forme estreme del sessismo”.

La violabilità del corpo femminile (la sua penetrabilità e uccidibilità) sono viste come parte integrante della nostra storia (greca – romana – cristiana) che fa tutt’uno con la nascita della polis, con la separazione tra famiglia e Stato.

La cancellazione della donna come persona e come soggetto politico, produce lo svilimento del suo corpo, l’assimilazione agli altri “corpi vili”, (l’adolescente, il prigioniero, lo schiavo).

Combattere la violenza significa snidare la cultura che la produce.

Queste, le parole di Lea.

Queste, le nostre parole.

Scrivevamo, in esordio, dell’intreccio tra violenza e normalità delle relazioni.

Solo mettendo in discussione questa cd. normalità, solo ricostruendo questa storia millenaria, il suo intreccio con l’inconscio, è possibile costruire una cultura diversa.

Una cultura che ponga fine a quella che da troppo tempo ormai si sta affermando come una strage: una donna ogni due giorni viene uccisa dal marito o ex marito, dal compagno o ex compagno.

Nel 2021 la media era una donna ogni tre giorni.

“Gli uomini diventano violenti quando si profila una separazione, stuprano e a volte uccidono quando incontrano un rifiuto alle loro richieste sessuali”.

Lea si domanda – e ci domanda – se uccidono per l’angoscia dell’abbandono, per il limite che la libertà dell’altra impone alla propria, o perché si trovano per la prima volta in balia di bisogni e dipendenze rimasti in ombra o cancellati.

Nella ricerca della comprensione dell’intreccio tra amore e violenza – intreccio che le donne dei Centriantiviolenza conoscono bene – Lea Melandri non ha mai smesso di studiare, di ricercare, continuando, però, a stare in contatto con la realtà delle donne.

Non si è chiusa nel suo pensiero e nelle sue certezze.

Non si è rifugiata nel simbolico, continuando a mettere in relazione pensiero e corpo, riflessione e impegno politico inteso come relazione con le altre.

Lea ha saputo leggere la realtà prima delle altre, senza – per questo – rinunciare alla sua capacità di andare al fondo dell’animo umano.

A proposito delle donne uccise, Lea scrive: “c’è chi legge questa ricomparsa come regressione e imbarbarimento del rapporto tra i sessi”.

“Preferisco pensare – aggiunge – che, più di un ritorno dell’uguale, si tratti della ripresa di una “preistoria” mai del tutto eclissata che ora torna a scuotere la cultura dalle sue viscere inesplorate, ma che non può non fare i conti con una coscienza diversa e con una libertà femminile finora inedita”.

Noi, questa lettura, preferiamo con Lea.

(Marina Pasqua)

*L’intervento di Marina Pasqua che è quello con cui ha presentato a Cosenza, con Renate Siebert e Anna Petrungaro, il libro di Lea Melandri allora appena uscito

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